giovedì 24 dicembre 2015

PARTECIPARE CON I FATTI A UN'OPERA PROFONDA DI BONIFICA POLITICA, MORALE E SOCIALE

Pio La Torre (1927-1982)
"[...] bisogna essere consapevoli che un'azione su tutto il fronte contro le moderne forme di criminalizzazione della vita economica e dei rapporti tra pubblica amministrazione e attività private, comporta non solo un grande rigore sul piano della prevenzione e della repressione penale ma un'opera profonda di bonifica politica e morale: una bonifica capace di rimuovere quell'intreccio tra potere mafioso e gruppi dirigenti che è aspetto non secondario del blocco sociale-elettorale conservatore. 
Al fondo di tutto, dunque, c'è una scelta di strategia politica. 
Non basta una rettifica di comportamento personale di questo o quel detentore del potere politico e amministrativo: occorre compiere nei fatti, e su scala generale, la scelta della programmazione economica e del controllo democratico della spesa pubblica in vista di un modello rinnovato di relazioni economico-sociali.
[...] Il governo Cossiga, dal canto suo, si mostra impotente a dare risposte persino ai problemi più urgenti delle aziende industriali minacciate di smobilitazione. 
In queste condizioni, decine di migliaia di giovani, privi di prospettive di lavoro, diventano facile preda di suggestioni ribellistiche e possono essere strumentalizzati da quelle forze che vogliono difendere anche con la violenza e l'assassinio il sistema di potere corrotto, clientelare e mafioso.
Da qui la convergenza tra mafia e terrorismo che fa sorgere nuovi pericoli alla convivenza democratica e civile del nostro paese" 

Pio La Torre, "Il legame tra mafia e potere", editoriale pubblicato sulla prima pagina de "l'Unità", 28 febbraio 1980.


Pio La Torre

Pio La Torre è morto e continuerà ad esserlo se noi non ne facciamo vivere le passioni e gli ideali nelle nostre piccole e grandi esperienze.
Sfrattiamo dalle nostre menti l'indifferenza.
Scacciamo l'ignavia dai nostri cuori.
Impegniamoci, dunque!
Facciamo vivere Pio attraverso le nostre azioni, le nostre parole e i nostri pensieri quotidiani.
Dimostriamo concretamente e senza ipocrisie che lui vive - davvero - con noi e dentro di noi.
Facciamone memoria piena, autentica, pratica.
Evitiamo di mettere in atto la solita, stucchevole, retorica messa in scena utile solo a farci credere - illusi - che la nostra coscienza sia a posto.
Come oggi è il giorno in cui un bimbo di nome Pio è sbocciato alla vita, così il testamento morale che questi ci ha lasciato sbocci nella mente e nel cuore di ognuno di noi.
Già, perchè adesso tocca a noi.
Soltanto a noi.

giovedì 17 dicembre 2015

FATTO SALVO IL SALVO...


Anzi, è il suo esatto opposto.
Qui bisogna aggiungere!
E' necessario infatti menzionare alcuni fatti (inspiegabilmente) taciuti nell'articolo, in modo tale da offrire al lettore una doverosa completezza d'informazione.
"Nel processo [per mafia, N.d.A.] è stato prosciolto da ogni imputazione il figlio Filippo, padre dei due giovani imprenditori eredi dei beni sequestrati", si legge nel testo.
Vero.
Peccato che l'autore si sia "dimenticato" di aggiungere che il soggetto - Filippo Rappa, nato il 20 novembre 1943, figlio di Vincenzo - è stato invece condannato in via definitiva e in tutti i gradi di giudizio per il reato di bancarotta fraudolenta, distrattiva e documentale, per il fallimento - dichiarato con sentenza del 25 marzo 1997 - della "Ing. G. Lambertini S.p.a.", società che per un decennio (ovvero da quando era stata acquisita dalla famiglia Rappa) si è aggiudicata appalti e lavori edili, anche pubblici.
Il verdetto giudiziario conclusivo è stato emesso dalla quinta sezione penale della Corte Suprema di Cassazione per mezzo della sentenza n. 21868 dell'11 aprile 2012 (Presidente Gian Giacomo Sandrelli; Consigliere Relatore Maurizio Fumo).
Secondo i giudici del Tribunale di Palermo prima, della Corte d'Appello del capoluogo siciliano poi e infine della Cassazione, la contabilità della società per azioni "è rimasta del tutto silente" circa i beni presenti nel suo patrimonio.
Nulla, nessuna prova documentale degli introiti, nè alcuna traccia delle movimentazioni - oltre che in entrata - in uscita.
Tale era la situazione che gli organi fallimentari hanno dovuto ricostruire (solo in parte e a grandi linee) l'intero quadro finanziario, economico, contabile e aziendale impiegando una discreta dose di fatica e dimostrando una notevole diligenza (alcuni dati, per esempio, sono stati rinvenuti in un vecchio computer aziendale ormai in disuso).
Infine, a conclusione della loro decisione, i magistrati hanno evidenziato tre fattori decisamente significativi: l'intensità del dolo, il danno ingente causato ai creditori e la gravità del fatto commesso.
Ma c'è dell'altro.
Attraverso l'ordinanza n. 3241 deliberata dal Tribunale di Sorveglianza di Palermo in data 9 novembre 2012, il nostro Filippo Rappa è stato posto agli arresti domiciliari al fine di espiarvi il residuo di pena da scontare proprio per la vicenda della bancarotta fraudolenta sopra esposta (1 anno, 3 mesi e 29 giorni di reclusione). 
Contemporaneamente, però, il Tribunale ha respinto l'istanza di affidamento in prova ai servizi sociali, evidenziando il "rilevante disvalore sociale del reato commesso" e ritenendo "accertato che l'attività lavorativa proposta presso l'azienda vinicola di famiglia, esercitata dalla Simsider s.r.l., di cui erano legali rappresentanti i figli del Rappa, risultava del tutto sfornita di regolarizzazione, non emergendo dalla documentazione in atti alcun rapporto lavorativo di carattere dipendente o di altro genere, e appariva, inoltre, inidonea all'agevole esecuzione dei dovuti controlli, secondo la nota informativa della polizia di Celafù".
La Cassazione (sezione VII penale, ordinanza n. 26912 del 6 marzo 2014, Presidente Umberto Zampetti; Consigliere Relatore Antonella Patrizia Mazzei), poste "la difficoltà dei controlli presso l'azienda di famiglia" e "la carente documentazione del dedotto rapporto di lavoro", non ha potuto far altro che dichiarare inammissibile il ricorso presentato dal pregiudicato, condannando per di più quest'ultimo a pagare le spese processuali e a versare alla cassa delle ammende la somma di 1.000 euro quale sanzione pecuniaria. 
Ecco, cari lettori.
Fatto salvo il "pezzo" di Salvo, sappiate che tutto quanto ho voluto scrivere qui, in questo mio "pezzo", l'ho scritto "solo" per una necessaria, anche se non Vitale, completezza d'informazione.
Era giusto che ne foste informati.