mercoledì 4 novembre 2015

DARE PER PRIMI L'ESEMPIO

Beppe Alfano (1945-1993)
"Mio padre era un uomo inflessibile.
Difficilmente ammetteva compromessi e spesso peccava perfino di eccesso di zelo.
Come quella volta dell'incidente in classe, per esempio.
Aveva sempre fatto il professore di educazione tecnica alle scuole medie e, quando eravamo tornati in Sicilia dal Trentino nel 1976, aveva ottenuto un posto alla Galileo Galilei di Terme Vigliatore, in provincia di Messina. Divideva le sue ore di lezione tra la sede centrale e quella distaccata, che si trovava a Vigliatore, dove abitavamo.
Anche io, come tutti i ragazzini della frazione, ero iscritta lì nella sezione unica e per poter essere sua alunna c'era voluta una dispensa speciale del provveditorato. Siccome inoltre era vicepreside, capitava spesso che me lo ritrovassi dietro la cattedra anche come supplente. 
Ero a casa con la febbre il giorno in cui uno dei miei compagni ruppe la maniglia della porta, e io venni a sapere dell'accaduto quando mio padre rientrò, all'ora di pranzo. 
Il mattino dopo tornai a scuola e lui entrando in aula con aria seria, esordì: 
<<Mi ha detto il bidello che è stata rotta la maniglia>>
Sulla classe calò il silenzio. 
Tutti gli studenti lo amavano e pendevano dalle sue labbra. 
Li aveva conquistati lasciandoli liberi durante le sue ore di discutere di ciò che li interessava e partecipando ai loro dibattiti con curiosità; quando però era ora di dedicarsi allo studio, esigeva la massima concentrazione e non ammetteva repliche. 
I ragazzi sapevano che non si arrabbiava gratuitamente, che considerava la lealtà e la trasparenza valori fondamentali. 
Capirono immediatamente che per la questione della maniglia sarebbe andato fino in fondo. 
<<Voglio sapere chi è stato>> proseguì infatti, guardandoci negli occhi, uno a uno. 
Nessuno aprì bocca e tra i banchi iniziò a serpeggiare un lieve disagio, benchè tutti dissimulassero.
Papà girò attorno alla cattedra, ci si appoggiò e incrociò le braccia: 
<<Se non viene fuori il colpevole>> proseguì <<rischiamo di far saltare la gita. O mi dite chi è stato, o sono costretto a pescare qualcuno io>>
Ancora silenzio. 
Io osservavo la scena dal mio posto, tranquilla e distaccata, perchè la vicenda questa volta non mi riguardava. 
Passarono alcuni istanti che parevano infiniti, poi mio padre trasse un profondo sospiro e si girò nella mia direzione. 
<<Sonia>>
<<Che c'è?>> sobbalzai, destandomi dal mio torpore. 
<<Se nessuno si fa avanti, paghi tu per gli altri>>
Sgranai gli occhi: <<Ma io ero assente!>>
Improvvisamente tutta l'attenzione si concentrò su di me, anzi su noi due: io ero allibita dalla sua mossa, lui sembrava amareggiato ma irremovibile. 
Adesso erano i miei compagni che si godevano lo spettacolo e, com'era prevedibile, nessuno di loro si fece avanti per difendermi. 
Naturalmente non ci fu verso di fargli cambiare idea: fece rapporto additandomi come la responsabile del danno. 
Mi arrabbiai da morire e quel giorno a scuola non gli rivolsi più la parola. 
Una volta a casa fu però costretto a rendermi conto del suo comportamento. 
<<Dobbiamo dare l'esempio>> fu la sua lapidaria giustificazione. 
<<Questa è l'esasperazione dell'esempio!>> protestai. 
Non servì a nulla: a pagare dovevo comunque essere io. 
E pagai. Non solo quella volta, ma per tutti e tre gli anni che lo ebbi come insegnante. 
Non voleva che qualcuno pensasse che mi favoriva, che ero avvantaggiata in quanto sua figlia, così mi trattava anche molto più severamente degli altri. 
Per esempio, mi interrogava tutti i giorni. Ero una delle prime della classe, con pagelle piene di 8 e 9; solo nella sua materia avevo 6. Agli esami, la commissione mi voleva promuovere con 9 e anche allora si intromise insistendo che dovevano darmi 7. Non c'era verso di fargli capire che anche farmi scontare al negativo quella nostra parentela era un'ingiustizia. Fortunatamente, agli esami, la professoressa di italiano lo prese in disparte e, senza troppi giri di parole, lo ridusse a più miti consigli. Fu probabilmente solo grazie a lei che uscii con il voto che mi spettava. 
Ma si trattò di un'eccezione: di solito mi toccava rassegnarmi. 
Del resto, è quello che succede con le persone dotate di carisma. 
Di fronte a un padre tanto caparbio e trascinatore, non potevo che alzare le mani"

Beppe Alfano, testimonianza della figlia Sonia raccolta nel libro da lei scritto "La zona d'ombra. La lezione di mio padre ucciso dalla mafia e abbandonato dallo Stato", Rizzoli, 2011.

Beppe Alfano con la figlia Sonia

Beppe Alfano è morto e continuerà ad esserlo se noi non ne facciamo vivere le passioni e gli ideali nelle nostre piccole e grandi esperienze.
Sfrattiamo dalle nostre menti l'indifferenza.
Scacciamo l'ignavia dai nostri cuori.
Impegniamoci, dunque!
Facciamo vivere Beppe attraverso le nostre azioni, le nostre parole e i nostri pensieri quotidiani.
Dimostriamo concretamente e senza ipocrisie che lui vive - davvero - con noi e dentro di noi.
Facciamone memoria piena, autentica, pratica.
Evitiamo di mettere in atto la solita, stucchevole, retorica messa in scena utile solo a farci credere - illusi - che la nostra coscienza sia a posto.
Come oggi è il giorno in cui un bimbo di nome Giuseppe è sbocciato alla vita, così il testamento morale che questi ci ha lasciato sbocci nella mente e nel cuore di ognuno di noi.
Già, perchè adesso tocca a noi.
Soltanto a noi.

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