sabato 30 maggio 2015

LA (responsabilità) 
POLITICA (e quella) 
PENALE

"In questa materia, che è molto spesso al confine con l'attività dell'autorità giudiziaria, […] la Commissione ha effettuato una distinzione preliminare tra responsabilità penale e responsabilità politica, in relazione a manifestazioni di illegalità che abbiano comunque un'incidenza sul sistema politico. 
Il primo tipo di responsabilità è di esclusiva competenza dell'autorità giudiziaria; il secondo è di esclusiva competenza dell'autorità politica. 
La responsabilità penale è accertata dalla magistratura attraverso le regole formali e certe del processo, e si concreta in sanzioni giuridiche prestabilite. 
La responsabilità politica si caratterizza per un giudizio di incompatibilità tra una persona che riveste funzioni politiche e quelle funzioni, sulla base di determinati fatti, rigorosamente accertati, che non necessariamente costituiscono reato, ma che tuttavia sono ritenuti tali da indurre a quel giudizio di incompatibilità. 
Le funzioni politiche si fondano su un principio di fiducia e di dignità. 
Ciascun politico ha una responsabilità aggiuntiva rispetto agli altri cittadini, perché egli coinvolge la credibilità delle istituzioni in cui opera. 
La responsabilità politica non è mai per fatto altrui, ma può certamente nascere dal fatto altrui quando da tale fatto si desume un giudizio di inaffidabilità sull'uomo politico. 
Se la persona di fiducia di un uomo politico compie atti di grave scorrettezza o di rilevanza penale, l'uomo politico non risponde dei fatti commessi dalla persona di fiducia, ma risponde per aver dato prova di non saper scegliere o di non aver accertato o di aver tollerato comportamenti scorretti.
Per lungo tempo vi è stata confusione tra responsabilità politiche e responsabilità penali. 
Il meccanismo di difesa è stato spesso negare autonomia alla responsabilità politica e rimandare ogni giudizio di disvalore all'esito delle decisioni penali. 
La misura della responsabilità dipende anche dai rapporti effettivamente intercorsi tra la persona che ha tenuto comportamenti scorretti e l'uomo politico; si può, in sintesi, sostenere che la responsabilità è proporzionale ai vantaggi procurati all'uomo politico dalla persona che ha tenuto i comportamenti illegali o gravemente scorretti. Per vantaggio deve intendersi non solo un incremento di natura economica, ma ogni tipo di utilità che si sia tradotta in un contributo significativo alla posizione e all'influenza dell'uomo politico in tutto il territorio nazionale o, per lo meno, in una parte rilevante di esso.

L'identificazione dei soggetti legittimati a sollevare una contestazione per responsabilità politica, in relazione a manifestazioni di illegalità, è uno dei capitoli più complessi di questa materia. 
È tuttavia incontestabile che tra tali soggetti ci sia il Parlamento con il diritto ed il dovere di sollevare questioni di responsabilità politica.

Il presupposto per muovere una contestazione di responsabilità politica è la conoscibilità di fatti o di vicende che a quella contestazione possono dar luogo; se non si conosce, non si è in grado di esercitare alcun controllo. 
La costituzione di commissioni d'inchiesta risponde alla necessità che il Parlamento avverte, per vicende di particolare rilevanza, di acquisire, tramite un proprio organo, la documentazione necessaria a verificare i presupposti per una contestazione di responsabilità politica. 
Non è nelle competenze della commissione, così come definite dalla legge istitutiva, far valere direttamente la responsabilità politica. È invece suo dovere predisporre per il Parlamento la documentazione idonea ad esprimere quel giudizio. 
La natura e la specificità della responsabilità politica esigono che essa sia di esclusiva competenza di organi politici. 
È questo il presupposto dell'autorevolezza della politica; rafforza il rapporto di fiducia tra cittadini ed istituzioni, consente di esigere dai cittadini comportamenti rispettosi delle leggi. 
Quando ciò non avviene, l'onere di accertare le responsabilità politiche o non è esercitato da nessuno oppure finisce con l'essere delegato, nei fatti, all'autorità giudiziaria. 
Un secondo equivoco può derivare dalla confusione tra responsabilità politica e lotta politica. 
Ciò avviene quando la maggioranza, di fronte a manifestazioni di illegalità, respinge a priori la configurabilità di un giudizio di responsabilità politica. Oppure quando un'opposizione particolarmente spregiudicata agita il giudizio di responsabilità politica come una pura arma polemica, imputando la responsabilità politica agli avversari soltanto in ragione dell'appartenenza ad un partito e ad uno schieramento e non in base a fatti specifici. 
Quando non esiste responsabilità politica si creano ingiustificate impunità che delegittimano le istituzioni. 
Quando l'accertamento della responsabilità politica è demandato all'autorità giudiziaria, che è politicamente irresponsabile, si verificano gravi distorsioni istituzionali, perché all'esercizio di una funzione politica non si accompagna l'assoggettamento ad una responsabilità politica. 
Del pari inammissibile sarebbe il caso dell'autorità politica che intenda occuparsi delle responsabilità penali. 
Quando c'è confusione tra lotta politica e responsabilità politica nascono esasperazioni dello scontro tra le varie parti, irrigidimenti e sospetti che danneggiano, alla fine, tanto l'ordinaria dialettica politica quanto la vita delle istituzioni. 
La Commissione ritiene opportuno sollevare un allarme, nei confronti di tutte le forze politiche perché accettino il principio di responsabilità politica e perché tengano ben distinto il profilo della lotta politica, anche aspra, da quello della responsabilità politica. 
La responsabilità politica, proprio in quanto rigorosamente accertata sulla base di fatti specifici, richiede precise sanzioni, rimesse all'impegno del Parlamento e delle forze politiche, e consistenti nella stigmatizzazione dell'operato e, nei casi più gravi, nell'allontanamento del responsabile dalle funzioni esercitate.
[…]
La Commissione ritiene innanzitutto indispensabile che i partiti politici, indipendentemente dagli accertamenti di carattere giudiziario, allontanino gli eletti, i dirigenti, gli iscritti che in modo diretto od indiretto abbiano dato luogo con i propri comportamenti a quel giudizio di responsabilità politica cui si è fatto innanzi riferimento. 
Se non lo fanno, ritengono compatibili quelle presenze con il proprio indirizzo politico.
[…]  
La Commissione intende sollevare un allarme in ordine ai possibili condizionamenti di logge massoniche coperte e deviate nelle pubbliche istituzioni. 
Qualunque sia il giudizio che si ritenga di dare della massoneria, è certo che questa associazione non può essere considerata, nella sua globalità, illegale ed eversiva nonostante i gravi fatti che hanno coinvolto molti aderenti a logge massoniche. 
Ma c'è il pericolo che la fedeltà massonica si sovrapponga a doveri di lealtà istituzionale. Questo pericolo ha indotto alcune istituzioni a stabilire il principio di incompatibilità tra l'esercizio di funzioni pubbliche particolarmente delicate e l'adesione a logge massoniche.
[…]
Si riflette, soprattutto in questa fase della vita del Paese, su quale sia il sistema elettorale che garantisca meglio l'impermeabilità alla mafia. 
Non esiste un sistema che garantisca in assoluto. 
La mafia controlla la formazione e l'espressione del consenso politico e quindi occorre innanzitutto impedire questo controllo isolando e sconfiggendo Cosa Nostra. 
Va prestata maggiore cura alla formazione dei seggi elettorali, nella designazione dei presidenti di seggio, nell'impedire i <<piantonamenti>> dei seggi da parte di gruppi criminali. 
Il cittadino deve sentirsi tutelato dalla presenza e dall'attenzione dello Stato.

Restano passività in molti organismi dello Stato, delle regioni e degli Enti locali. 
Sono necessari interventi sanzionatoli adeguati. 
Ma serve un indirizzo politico nuovo e visibile, che dia a tutti il senso di un'etica professionale in grado di resistere alle pressioni mafiose. 
Si può morire anche per questo, […] ma lo Stato ha comunque il dovere di non lasciare soli i funzionari che operano nelle aree più esposte. 
Al di là delle regole formali, a questi funzionari va data la consapevolezza che si muovono secondo indirizzi riconosciuti e garantiti. 
Invece, ancora oggi, sono lasciati soli, tra enormi difficoltà, come accade il più delle volte per i commissari straordinari dei consigli comunali sciolti per mafia.

Compito delle forze politiche, delle autorità di governo e della magistratura è perseguire l'obbiettivo della distruzione di Cosa Nostra, attraverso la confisca di tutte le ricchezze, l'arresto, il processo e la condanna dei vertici, degli alleati e di tutta la struttura militare. 
Non sono più ammissibili i discorsi di un tempo sul contenimento di Cosa Nostra o sulla sua riduzione a <<dimensioni fisiologiche>>. 
Verso questo obbiettivo vanno indirizzate le risorse. 
I partiti e le istituzioni devono assumere comportamenti coerenti. 
Questo consentirà di chiedere anche ai cittadini nella loro quotidianità, una coerenza. 
Non esiste un'etica pubblica, se sono disastrate le etiche private; ma la ricostruzione deve partire dalla politica. 
L'Italia ha i mezzi, le intelligenze e le volontà per rompere i vecchi rapporti, sconfiggere Cosa Nostra, guardare fiduciosa al proprio futuro. 
C'è uno Stato che funziona, nonostante la mafia e le corruzioni; anche i segnali che sembrano più inquietanti sono il frutto di un ritrovato primato della legalità, premessa per la ricostruzione del sistema politico"

"Relazione sui rapporti tra mafia e politica" (Relatore: Luciano Violante), approvata nella seduta del 6 aprile 1993 dalla Commissione parlamentare d'inchiesta sul fenomeno della mafia e sulle altre associazioni criminali similari.


lunedì 25 maggio 2015

CONOSCERE
PER NON ESSERE MARIONETTE 


Leggete le attente riflessioni - fuori dal coro, quindi già solo per questo meritevoli di lettura - di quattro giornalisti, sempre puntuali nel trattare le questioni di mafia:


Perchè l'ipocrisia del potere (politico, finanziario, imprenditoriale e mafioso) si sconfigge anche con la conoscenza.

Informiamoci, dunque, se non vogliamo essere le inerti marionette mosse da qualcun'altro!    

Muoviamoci

Sosteniamo concretamente e con forza Antonino Di Matteo, Roberto Scarpinato e tutti gli uomini delle (vere) Istituzioni che - facendo fino in fondo il proprio lavoro e compiendo semplicemente il loro dovere - rischiano tutti i giorni la vita!
Per noi.


domenica 24 maggio 2015

CREDERE NEL PROPRIO LAVORO
(conquistato per merito, 
rifiutando scorciatoie e raccomandazioni)
E METTERCI TANTA PASSIONE, 
NONOSTANTE I RISCHI E I PERICOLI

Ilaria Alpi (1961-1994)
"Asiut – 450 chilometri a sud del Cairo – è il centro più grande e importante dell’Alto Egitto. La sua fama non è però legata, come per Luxor o Aswan, alle antichità faraoniche, ma al fatto che – insieme ad altre due città della stessa zona – è da sempre la roccaforte dei movimenti islamici del paese. Negli ultimi giorni, proprio in questi centri (Al-Minia) si sono avute nuove esplosioni di violenza, ad opera degli gihad.
Apparentemente, Asiut ha poco del covo sinistro e misterioso. La sua economia tira bene: terre agricole sulle sponde del Nilo, industrie chimiche e petrolifere. Prima delle riforma agraria avviata da Nasser, poche famiglie – cristiane e mussulmane – detenevano il potere. 
Un taxista, cristiano, mi mostra con orgoglio la croce che ha tatuata sul polso. Con rimpianto, mi dice: <<Prima della rivoluzione, i cristiani qui erano i proprietari terrieri più ricchi>>. 
Ora, invece, non più. Chi cresce, sono i Fratelli musulmani (l’ala moderata del movimento islamico, ora presente anche in parlamento): possiedono banche, società e piccole aziende sparse un po’ ovunque in Asiut.
I primi scontri cominciarono nel 1980. Poi, un anno dopo, ecco l’assassinio al Cairo del presidente egiziano Anwar Sadat. Mentre i colpi dei killer uccidevano il <<rais>>, a Asiut scoppiò la rivolta: secondo i piani doveva essere la scintilla del sollevamento generale nel paese. Ma non andò così: prima l’esercito e, infine, Mubarak riuscirono a controllare la situazione.
La nascita delle organizzazioni islamiche estremiste risale agli anni Sessanta. E per un motivo preciso: il governo, in difficoltà, le usò contro le sinistre, all'interno delle università. Riuscendovi. Comunque, l’<<appello all'Islam>> risponde probabilmente alla volontà profonda di recuperare una specifica identità nei confronti dell’Occidente, esportatore – questa è l’accusa – di corruzione e di crisi.
Ad Asiut è l’università il punto degli incontri e di dibattiti ideologici. Il leader studentesco delle <<associazioni islamiche>> locali è Usama Rushdi, 30 anni, alle spalle più di tre anni di carcere.
Dice: <<Come musulmani vogliamo la restituzione del califfato e l’applicazione della legge islamica. L’obiettivo è la creazione di uno stato dell’Islam. Il che non significa affatto che attaccheremo i cristiani o che li costringeremo ad andarsene. Più semplicemente desideriamo che venga applicato il diritto della maggioranza a governare nel rispetto – ovviamente – dei diritti degli altri>>. 
Così Usama Rushdi, il quale tiene a precisare che la sua organizzazione non deve essere confusa con altri movimenti. In effetti, l’universo dei gruppi islamici egiziani è piuttosto nebuloso, ed è frequente il caso di piccole formazioni che si distaccano dai filoni principali per portare a termine qualche azione. Come pare sia il caso degli Annag Minan-Nar (<<I sopravvissuti dall'inferno>>), un gruppo accusato dei più recenti blitz terroristici che, per quanto si conosce, non dovrebbe essere composto da più di una decina di persone. Questi attentati hanno avuto come bersaglio uomini di governo, al di fuori di ogni motivazione religiosa.
Per quanto riguarda Asiut, c’è un altro dato su cui meditare: i cristiani sono il 20 per cento della popolazione locale contro il 6 per cento nel resto del paese. La convivenza quotidiana è tranquilla e le autorità se ne vantano. Non capiscono, quindi, perché l’Occidente si interessi tanto alla loro cittadina. Tutto normale? Forse. Ma allora come spiegare la circostanza che il governatore di Asiut provenga ormai tradizionalmente dall'esercito e che ogni giornalista debba essere munito di permesso o muoversi sotto la <<protezione>> della polizia della Sicurezza nazionale (una sorta di servizio segreto) e del centro stampa del posto? La spiegazione ufficiale è che ciò serve solo a facilitare il lavoro.
A guardare meglio, però, si scopre che sassaiole e incendi contro le proprietà dei cristiani non sono poi così sporadici. 
<<Ultimamente sono state distrutte delle librerie>>, ci dice un testimone. <<Gli estremisti di Allah pensano che l’Islam sia l’unica religione e che i cristiani debbano scomparire. Le autorità governative sono invece contrarie all'applicazione della legge islamica: la promettono ai Fratelli musulmani ma in realtà non intendono farne nulla>>. 
La verità è che il governo egiziano vorrebbe trovare un equilibrio stabile tra le richieste di laicizzazione e quelle di islamizzazione totale delle istituzioni. 
<<L’Egitto>> secondo Usama Rushdi <<ha attraversato negli ultimi anni una profonda crisi economica. Il debito con l’estero continua a crescere. Il turismo ha subito un colpo a causa di avvenimenti come il sequestro dell’Achille Lauro e, nel febbraio dell’anno scorso, la rivolta del reparti della Sicurezza Nazionale qui ad Asiut. Per questo insieme di motivi, l’Egitto è stato costretto a chiedere più aiuti agli amici. L’unica soluzione sarebbe quella di creare una economia islamica. Invece l’Egitto vuole ricoprire il ruolo di testa di ponte nell'area medio orientale per americani ed europei, e quindi deve garantire la tranquillità interna. In altri termini, deve allontanare l’ipotesi che possa succedere un altro Iran>>. 
L’Iran sciita non sembra però l’ideale di queste organizzazioni islamico-egiziane, tutte sunnite.
L’ortodossia religiosa ufficiale in Egitto è rappresentata dall'Azhar, l’università-moschea del Cairo. Ad Asiut c’è una <<succursale>> per lo studio delle scienze religiose le cui strutture sono in continua espansione. L'Azhar appoggia la politica del partito nazional-democratico al potere. Durante il referendum del primi di ottobre per la rielezione alla presidenza della repubblica di Mubarak il leader dell'Azhar ha invitato i cristiani a votarlo. Il papa Shenuda, capo dei copti, ha fatto lo stesso. I fratelli musulmani, rappresentati nell'assemblea popolare, hanno posto solo alcune condizioni. Al contrario, le associazioni islamiche – dai pulpiti delle loro moschee – hanno invitato a disertare le urne. 
<<Le elezioni>>, dice Usama Rushdi, <<sono state uno sperpero di denaro; la gente non ha nessuna fiducia nel partito al governo o in quelli all’opposizione>>. 
Ma come cambiare? 
<<Con il gihad sulla strada di Dio, cioè la propaganda con ogni mezzo e la guerra santa come ultimo rimedio>>"

Ilaria Alpi, "Chi siamo? La vera mano di Allah", reportage sul viaggio nella città di Asiut (roccaforte egiziana dei Fratelli Musulmani) pubblicato da "Paese Sera" il 27 ottobre 1987.

Ilaria Alpi

"A me piace andare, vedere e riferire, e non farmi raccontare da altri ciò che è successo. 
E questo sempre, in ogni circostanza"

Ilaria Alpi, confidenza a una collega qualche mese prima di essere uccisa.

Ilaria Alpi

"Vorrei solo che sulla sua morte non si faccia retorica, che i suoi colleghi giornalisti in questo non la tradiscano.  
Era solo un lavoro, niente altro. 
Ci credeva tanto in quel lavoro e noi certamente eravamo in ansia quando partiva. 
Guardavamo i suoi servizi alla televisione. 
Doveva andare in Algeria, parlava l’arabo, ma poi la Rai l’ha mandata in Somalia. 
[…] mia figlia aveva imparato a detestare il razzismo. Mi diceva sempre che lì in Africa non ce l’avevano con noi italiani. Ma con Craxi. Lei amava quella gente, era stata lì tante volte. 
[…] questo era il suo lavoro […], ci teneva tanto. Ci metteva tanta passione. 
Era una ragazza molto indipendente. 
Era stata in Egitto e aveva imparato l’arabo. 
Per lei era importante fare questi servizi alla televisione. 
Non aveva mai preso una lira sulle note spese. 
Con i militari della Folgore all'inizio non si era trovata bene perché molti hanno altre idee politiche e lo sapeva. Ma poi si era un po’ ricreduta e ne aveva addirittura conosciuto uno che la pensava come lei, che era di sinistra. 
Era entrata alla Rai dopo aver partecipato ad un concorso, aveva studiato.  Io conosco molte persone anche importanti. Forse avrei potuto aiutarla. Ma Ilaria mi mise in guardia: <<Papà, non provare a parlare con qualcuno; non mi aiutare, ce la farò da sola>>. E così è stato. Era molto orgogliosa di questo, ci teneva tanto a dire che ce l’aveva fatta da sola e senza spinte. 
[…] L’avevo vista far la valigia quando è partita pochi giorni fa […]. Ci aveva messo il caffè, le scatolette, le cose che sapeva gradite agli altri colleghi che avrebbe incontrato lì in Somalia e ai quali portava un regalo. 
Avevamo visto alla televisione […] tre giornalisti della Rai uccisi nella ex Jugoslavia. 
C’eravamo tutti preoccupati. 
Ma come si fa? Era il suo lavoro"

Giorgio Alpi (padre di Ilaria), dichiarazioni rilasciate a Toni Fontana e pubblicate il 21 marzo 1994 su "l'Unità" con il titolo "<<Non fate retorica su mia figlia>>. Il dramma del padre di un'inviata senza snobismi".

Ilaria Alpi 

"Giovane giornalista televisiva, impegnata a svolgere una serie di inchieste in Somalia, veniva barbaramente trucidata in un efferato agguato di bande criminali. Fulgido esempio di elevato spirito di servizio e di grande professionalità. 20 marzo 1994 - Mogadiscio (Somalia)"

Motivazione del conferimento alla giornalista Ilaria Alpi della medaglia d'oro al merito civile, conferita alla memoria il 15 novembre 2007.

Ilaria Alpi

Ilaria Alpi è morta e continuerà ad esserlo se noi non ne facciamo vivere le passioni e gli ideali nelle nostre piccole e grandi esperienze.
Sfrattiamo dalle nostre menti l'indifferenza.
Scacciamo l'ignavia dai nostri cuori.
Impegniamoci, dunque!
Facciamo vivere Ilaria attraverso le nostre azioni, le nostre parole e i nostri pensieri quotidiani.
Dimostriamo concretamente e senza ipocrisie che lei vive - davvero - con noi e dentro di noi.
Facciamone memoria piena, autentica, pratica.
Evitiamo di mettere in atto la solita, stucchevole, retorica messa in scena utile solo a farci credere - illusi - che la nostra coscienza sia a posto.
Come oggi è il giorno in cui una bimba di nome Ilaria è sbocciata alla vita, così il testamento morale che lei ci ha lasciato sbocci nella mente e nel cuore di ognuno di noi.
Già, perchè adesso tocca a noi.
Soltanto a noi.

COMPIERE OGNI ATTO
(dal più importante al più irrilevante)
CON SPIRITO DI GIUSTIZIA, CORAGGIO E FORZA NEL COMBATTERE
OGNI ILLEGALITA' E INGIUSTIZIA 

Piersanti Mattarella (1935-1980) 
"[L'omicidio di Michele Reina, segretario provinciale della Democrazia cristiana di Palermo, N.d.A.] è certamente un episodio che richiama ciascuno e tutti alla necessità non soltanto di esprimere condanna, esecrazione, cordoglio, partecipazione, ma che deve far pensare che la realtà della società nella quale viviamo ha bisogno di recuperare valori perduti, di far riacquistare a ciascuno il senso del dovere, di ricollocare in un equilibrio migliore i rapporti tra le varie componenti sociali. 
Si tratta di un fatto che ci richiama non a parole di condanna, ma ad impegno di operare; come impegnata, generosa, appassionata fu la vita, la testimonianza politica di Michele Reina, che seppe dedicare con coerenza rigorosa al suo credo politico tutte le sue energie. Chi lo ha conosciuto non può non ricordare la vitalità, la capacità di espressione viva del suo modo di essere. 
Questo credo debba essere il messaggio da raccogliere dalla testimonianza politica di Michele Reina e dalla sua orribile fine: che, al di là delle condanne che facilmente possono essere espresse, ci sia l’impegno di ciascuno, delle forze che vivono ed operano nella nostra società, delle istituzioni, perchè sia fatto tutto ciò che è possibile fare non solo perchè sia fatta luce e sia scoperta la verità su quanto è accaduto (come tutti chiediamo con forza), ma perchè sia recuperata nella nostra società una convivenza migliore, sia recuperato nella nostra comunità un modo di essere più giusto che isoli, che respinga, che condanni, con operatività e non soltanto a parole, ogni forma di violenza, che dia a ciascuno di noi il senso del dovere di combattere questa realtà violenta, politica, mafiosa o delinquenziale che sia, che non può più essere tollerata, ignorata, sopportata dai cittadini che vogliono realmente una società migliore. 
Dobbiamo trarre una lezione, un messaggio da questo ulteriore, ennesimo fatto di violenza. Ed è quello di ricavare non il senso della paura, dello sgomento, l’invito ad assentarsi, ad allontanarsi dall’impegno sociale, ma, al contrario, l’incitamento ad essere più presenti, più attivi nelle competizioni di ogni giorno, perchè il fenomeno della violenza, ripeto, quella eversiva o quella comune, non può essere vinto soltanto dalle istituzioni a ciò preposte, ma deve essere vinto con una grande battaglia che debbono combattere tutti i cittadini che realmente credono nella democrazia e nella libertà. 
Nel rinnovare alla Democrazia cristiana e alla famiglia di Michele Reina i sensi del più profondo cordoglio, della più commossa solidarietà, credo che tutti noi dobbiamo, ripeto, da questo episodio come da tanti altri, trarre una lezione di impegno civile, di maggiore generosità, di maggiore dedizione, di riacquisizione di un senso del dovere maggiore, se vogliamo che questa nostra società cambi migliorando"

Piersanti Mattarella, discorso del Presidente della Regione Sicilia pronunciato nell'Aula dell'Assemblea regionale in commemorazione del segretario provinciale della Democrazia Cristiana di Palermo Michele Reina, seduta del 15 marzo 1979.

Piersanti Mattarella con Aldo Moro 

"Accanto al cordoglio per i familiari, colpiti negli affetti più cari in modo irreparabile e gravissimo, accanto ai sentimenti di solidarietà al Corpo di Polizia, ed in particolare ai colleghi palermitani, dal Questore al più giovane agente della Squadra Mobile, è indispensabile per le forze politiche, per le istituzioni pubbliche, porsi il problema sociale, umano, morale, ma anche, in definitiva, propriamente politico, della tutela dei livelli civili nella città di Palermo e nella nostra Regione. 
Ho avuto modo di dire in altre occasioni che il problema dello sviluppo nostro, come di altre aree depresse, non è solo economico, ma anche sociale, civile e morale […]
Il dolore dei familiari, l’offesa arrecata alla comunità, meritano una risposta ampia e responsabile; occorre mettere un punto fermo a questa spirale, occorre, come ho già avuto modo di dichiarare, fermare la mano degli assassini. 
È necessario intanto che tutti gli organi, comunque impegnati nell'accertamento della verità, a cui auguriamo un rapido successo, sentano attorno a loro un’atmosfera pienamente e sinceramente favorevole e solidale e questo non solo a livello della piena ed incondizionata collaborazione delle autorità, ma anche a livello dei singoli cittadini. 
Vorrei raccogliere in questa sede il suggerimento cristiano ma anche altamente civile dell’Arcivescovo di Palermo, cardinale Pappalardo, che ha indicato la via del dovere ai cittadini: basta con le reticenze, con i «non ricordo», con i «non so»! 
Qui è in gioco il nostro futuro, il futuro della nostra comunità, dei nostri figli. 
Oltre ai livelli ed alla qualità della convivenza civile è difficile comprendere appieno il peso negativo, le refluenze [cioè le regressioni, gli arretramenti, gli indietreggiamenti, N.d.A.] che fatti consimili hanno sulle prospettive di sviluppo e di crescita culturale, civile ed anche economica dell’Isola e sull'opinione pubblica nazionale. 
[…] Quali le matrici? Quali le cause? Quali i collegamenti? Sono molti gli interrogativi che la gente si pone e non possiamo certo limitarci a porceli come gli altri. 
Occorre in qualche modo, con decisione e con prontezza, riuscire a far fronte a quest’esigenza, a queste domande che ci vengono dalla società di cui siamo espressione. 
Il livello di guardia è stato abbondantemente superato. 
È necessario passare dalle parole ai fatti; è necessario che le istituzioni pubbliche assumano il peso di queste questioni che non possono essere lasciate allo studio dei sociologi; è necessario, oltre all'operante e fattiva solidarietà con gli organi di polizia affinchè essi sentano che il loro difficile e duro lavoro non solo non è inutile ma è perfettamente inserito in un tessuto sociale sano ed anzi è di esso espressione piena, è necessario, dicevo, che a tutti i livelli si compia a fondo il proprio dovere, si gestiscano poteri e responsabilità con coraggio, giustizia e correttezza, si compia ogni atto, dal più significativo al più minuto, con questo spirito di giustizia, ma anche di coraggio e di forza nel combattere ogni deviazione, ogni illiceità, ogni prepotenza. 
A questi obiettivi è stata finalizzata l’attività legislativa di riordino e di riforme proposte dal Governo negli ultimi tempi e l’azione amministrativa del Governo stesso. 
È, credo, nella gestione della società, nell'amministrazione della cosa pubblica il primo impegno che direttamente investe la classe politica ed è anche nel manifestare, attraverso appropriate iniziative e chiare indicazioni politiche, la totale, irriducibile avversità ad ogni forma di violenza, ad ogni organizzazione criminale, ad ogni manifestazione mafiosa alle quali non può, tra l’altro, essere consentito di abusare di modi e di strumenti di garanzia per collocarsi in posizione di vantaggio nei confronti di chi tali garanzie troppo spesso incontra come impedimenti per vincere una sacrosanta lotta. 
È nel rinnovare in modo costante e credibile la solidarietà, la comprensione, il pieno appoggio a quanti in prima linea, con dedizione generosa e coraggio encomiabile, sono impegnati nella difesa della convivenza civile, tutori dell’ordine prima di ogni altro; è nel denunciare con fermezza la gravità della situazione di questa città caratterizzata dai tanti drammatici eventi di questi ultimi mesi che si esprime la coscienza pubblica turbata e preoccupata"

Piersanti Mattarella, discorso del Presidente della Regione Sicilia pronunciato nell'Aula dell'Assemblea regionale in commemorazione del capo della squadra mobile di Palermo Boris Giuliano, seduta del 25 luglio 1979 (antimeridiana).




Piersanti Mattarella
"Oggi avvertiamo, con questo ulteriore episodio [l’omicidio del magistrato Cesare Terranova e del maresciallo Lenin Mancuso, N.d.A.], un senso di profonda preoccupazione e di inquietudine, non solo per la gravità di ciò che accade in questa città, ma anche per il verificarsi di una specie di assuefazione a fatti di violenza come questi, per il verificarsi di una sorta di fuga dalla coscienza come se questi fossero fatti ed episodi isolati che appartengono a poche persone. 
Sono, invece, fatti che non possono che chiamare ad una responsabilità collettiva tutta la comunità palermitana, tutta la comunità isolana: che richiama la responsabilità impegnata e concreta di chi ha il dovere di intervenire per spezzare questa spirale alla quale va data una risposta opposta alla paura, alla rassegnazione, che probabilmente si cerca di creare con queste inaudite aggressioni alle stesse istituzioni. 
A questa situazione si deve reagire fermamente, vigorosamente, al di là delle parole, delle celebrazioni che rischiano di assumere il ruolo di un rito e che non possono che essere respinte dalla opinione pubblica più attenta e più sensibile. 
Questa realtà richiama ad un impegno collettivo delle istituzioni, degli uffici responsabili, ma anche ad un impegno collettivo dei cittadini a partecipare di più alla lotta contro ogni forma di delinquenza organizzata e di mafia. 
Io credo che l’assassinio, consumato con una ferocia inaudita, di questi due servitori della cosa pubblica deve lasciare un segno, al di là della partecipazione piena al cordoglio delle famiglie, al di là della solidarietà totale nei confronti della Magistratura e della Polizia, al di là della necessità di piegarsi reverenti al sacrificio di questi due caduti. 
Il segno per noi non può che essere quello di un impegno maggiore, per tutti e per ciascuno, ai vari livelli di responsabilità, nell'affrontare senza tentennamenti e senza paure questa autentica battaglia. 
[…] Noi avvertiamo, così come tutte le forze politiche, tutte le forze vive della società, dal mondo del lavoro, che lo ha fatto ieri con una manifestazione spontanea e significativa, al mondo della cultura, avvertiamo – dicevo – l’esigenza di manifestare alla Magistratura ed alle Forze dell’ordine, impegnati in prima linea a difendere la qualità della convivenza civile e la società da queste aggressioni che finiscono anche queste per appartenere alla sfera della eversione, non solo la piena solidarietà, ma vorrei dire la testimonianza di una partecipazione in spirito al loro impegno, tante volte generoso ma incompreso, talvolta spinto fino all'estremo sacrificio, spesso avvolto dalla sensazione di essere isolati, di non essere compresi, di non essere sostenuti"

Piersanti Mattarella, discorso del Presidente della Regione Sicilia pronunciato nell'Aula dell'Assemblea regionale in commemorazione del magistrato Cesare Terranova e del maresciallo Lenin Mancuso, seduta del 26 settembre 1979.




Piersanti Mattarella con Sandro Pertini
"Una Sicilia che ha già fatto cospicui passi avanti avvicinando i suoi livelli di vita a quelli del resto del Paese, con la sua cultura, con i suoi modi di essere; una Sicilia che nel gusto e nel costume non è diversa dal resto del Paese; eppure anche una Sicilia che registra, specie nelle sue città, forme di convivenza civile non accettabili, rese più gravi dalle carenze di servizi pubblici, di scuole, di case a basso prezzo, di ospedali, di asili nido, di campi da gioco, di verde. 
Abbiamo ancora dinanzi a noi ostacoli e resistenze notevoli e non ce ne nascondiamo il peso; primo fra tutti la recrudescenza del fenomeno della mafia che […] si ripresenta con tracotanza in questi mesi a turbare lo scorrere ordinato della nostra vita civile. 
Occorre fare un appello alla coscienza individuale, oltre che ovviamente a tutti gli strumenti del pubblico potere, per affrontare questa dura battaglia. 
Occorre che i comportamenti di ciascuno siano coerenti a questo obiettivo e noi Le chiediamo, Signor Presidente, di associare al nostro il Suo richiamo, reso forte anche dalla Sua alta coscienza politica e morale, per un livello più alto di convivenza civile, affinché ciascuno ogni giorno isoli e respinga i comportamenti mafiosi e non si pieghi ad essi. 
Deve essere pur possibile ai giovani, a tanti giovani che vediamo anche in Sicilia così ansiosi di rinnovamento, così desiderosi di maggiore giustizia, così vivi, così attenti a tutto ciò che accade intorno ad essi, deve essere pur possibile, dicevo, a questa nuova generazione di siciliani il venire a capo di questo triste fenomeno, di isolarlo, batterlo, vincerlo per sempre"

Piersanti Mattarella, discorso del Presidente della Regione Sicilia pronunciato nell'Aula dell'Assemblea regionale come indirizzo di saluto al Presidente della Repubblica Sandro Pertini, seduta straordinaria del 9 novembre 1979.




Piersanti Mattarella
"In questo stesso momento una delle finalità che deve caratterizzare l’impegno politico dei gruppi parlamentari, del Governo e delle istituzioni in generale credo sia quella di dare un contributo decisivo per l’isolamento nella società del fenomeno mafioso. 
Questo risultato può essere conseguito, ripeto, aiutando a costituire una coscienza antimafia. 
[…] La gravità del fenomeno mafioso non è più esprimibile soltanto attraverso il riferimento al numero dei delitti consumati o tentati. 
Bisogna evitare di concentrare l’attenzione su questo fenomeno soltanto nei momenti in cui si manifesta in maniera più grave; giova sottolineare, invece, al di là della indicazione della quantità e delle forme in cui si manifesta, la drammaticità del mantenimento e del riesplodere di questo fenomeno nella società siciliana. 
Si tratta di un fenomeno che deve avere come interlocutore principale lo Stato con i suoi apparati, con le sue responsabilità, con le sue incombenze. 
[…] Questa battaglia contro la criminalità esige – come qui è stato sottolineato – la più larga unità di intenti, alla quale tutti dobbiamo sentirci richiamati. 
Credo che occorra dimostrare l’esistenza di un fronte contro la mafia, forte anche politicamente, che appaia vincente, che, per la sua consistenza, per la sua capacità di indicare soluzioni, dia alla società siciliana ed alle nuove generazioni il convincimento che questa è una battaglia che può e deve essere vinta. 
[…] Siamo convinti, infatti, che, nella capacità di identificare uno sviluppo e di proporre scelte coerenti di carattere produttivo che garantiscano una crescita economica, sociale e civile dell’Isola, c’è anche la risposta essenziale all'eliminazione delle ragioni di fondo del prosperare della mafia nella nostra Regione. 
[…] La battaglia deve essere affrontata e deve essere combattuta guardando alla dimensione complessiva del fenomeno, che non è soltanto un fenomeno di delinquenza nei confronti dei quali va richiamata, come certamente è giusto richiamare, la massima operatività possibile degli organi chiamati alla tutela dell’ordine pubblico, dalle forze di polizia alla magistratura. Ad esse va dato atto, senza riserve, di avere condotto una battaglia molto spesso in condizioni difficili. Appaiono opportuni i riferimenti […] relativi al potenziamento delle dotazioni umane e strutturali sia degli organi di polizia sia della magistratura in Sicilia. 
[…] Ma non è solo in direzione di questi aspetti, che pure vanno sottolineati con forza e vanno rivendicati nei confronti degli organi centrali dello Stato, che si combatte la mafia. 
Si combatte anche eliminando le cause profonde che consentono a questo fenomeno di prosperare.
E’ un fenomeno caratterizzato dalla sopraffazione, dal ricatto, dalla minaccia, che bisogna combattere dalle sue origini. 
Quando si fanno richiami alla educazione civica, alla esigenza di interventi anche nelle scuole, perché si crei una coscienza antimafia, un costume diverso, ciò è da considerare positivamente.
Credo, infatti, che, accanto alle iniziative e agli strumenti di lotta immediata per contrastare gli aspetti più evidenti della realtà mafiosa, ci sia bisogno di una strategia complessiva che vada alle origini. 
Bisogna riguardare le condizioni di vita, il tessuto economico e sociale che ha consentito da tanto, da troppo tempo il prosperare di questo triste fenomeno. 
Non si tratta soltanto di identificare un momento repressivo ma un momento propositivo, che riguarda la capacità di interventi di carattere economico-sociale di grande respiro da parte dello Stato e della Regione, che riguarda comportamenti capaci di eliminare, ad esempio, la disoccupazione, che è certamente uno dei mali che facilita il prosperare del fenomeno stesso.
Occorre trovare la capacità di isolare questa realtà, combattendo qualsiasi forma di connivenza, di collusione, di adesione a questo fenomeno, dovunque possano annidarsi; combatterle anche con durezza, ma sfuggendo al tentativo di realizzare forme di giudizi falsi o affrettati che finiscono con l’essere una attenuazione nella battaglia e nell'affrontare il nemico dove realmente esso si è insediato e dove realmente esso va battuto"
Deve insomma emergere "la capacità di una proposta duplice sia in direzione di interventi rivolti alla eliminazione del fenomeno nelle sue manifestazioni più immediate mediante modi e comportamenti più efficaci della presenza repressiva dello Stato, sia in direzione della consapevolezza che per battere questo fenomeno bisogna intervenire drasticamente per risollevare le condizioni socio-economiche della nostra Regione. 
[…] Ritengo, signor Presidente, di dover ribadire che questo dibattito costituisce obiettivamente un momento di crescita di quella coscienza antimafia che è indispensabile per contribuire ad isolare questo fenomeno, che può essere battuto – ripeto – con i momenti repressivi, ma anche con la capacità di operare scelte organiche che riguardano lo sviluppo socio-economico, oltre che con i comportamenti individuali e quindi i modi di essere della nostra convivenza civile e del nostro costume. 
Credo che il contributo dato da questo dibattito al fine di isolare questo fenomeno e di costruire una coscienza di opposizione, di resistenza e di liberazione da questo fenomeno sia un fatto che fa onore a questa Assemblea e alla Regione siciliana"

Piersanti Mattarella, discorso del Presidente della Regione Sicilia pronunciato nell'Aula dell'Assemblea regionale nella discussione delle mozioni e dell'interpellanza sullo stato dell'ordine pubblico in Sicilia e sulla lotta alla mafia, seduta del 20 novembre 1979.


Piersanti Mattarella è morto e continuerà ad esserlo se noi non ne facciamo vivere le passioni e gli ideali nelle nostre piccole e grandi esperienze.
Sfrattiamo dalle nostre menti l'indifferenza.
Scacciamo l'ignavia dai nostri cuori.
Impegniamoci, dunque!
Facciamo vivere Piersanti attraverso le nostre azioni, le nostre parole e i nostri pensieri quotidiani.
Dimostriamo concretamente e senza ipocrisie che lui vive - davvero - con noi e dentro di noi.
Facciamone memoria piena, autentica, pratica.
Evitiamo di mettere in atto la solita, stucchevole, retorica messa in scena utile solo a farci credere - illusi - che la nostra coscienza sia a posto.
Come oggi è il giorno in cui un bimbo di nome Piersanti è sbocciato alla vita, così il testamento morale che questi ci ha lasciato sbocci nella mente e nel cuore di ognuno di noi.
Già, perchè adesso tocca a noi.
Soltanto a noi.

sabato 23 maggio 2015

SONO "GIUSTIZIALISTA"
PERCHE' DIFENDO LA PATRIA!


Pretendere che i semplici indagati o imputati per reati di mafia non vengano candidati alle elezioni e siano sospesi dalle cariche pubbliche che rivestono (per decadere dopo l'eventuale condanna definitiva) non significa essere "giustizialisti".
Significa esigere che lo Stato si organizzi per difendersi dalle mafie e dalle loro influenze al fine di salvaguardare l'ordine e la sicurezza pubblica e di tutelare la libera determinazione degli organi elettivi, il buon andamento e la trasparenza delle pubbliche amministrazioni.
Garantendo, in tal modo, interessi primari ed esigenze fondamentali dell'intera collettività.
E' ciò che si può dedurre leggendo una sentenza della Corte Costituzionale pronunciata nell'ottobre del 1992 (la n. 407/92).
Pertanto, non preoccuparsi - o preoccuparsi troppo poco - d'impedire che soggetti anche solo gravemente indiziati di crimini mafiosi possano assumere cariche elettive, rappresenta un notevole contributo allo sviluppo delle infiltrazioni mafiose all'interno delle Istituzioni locali, nazionali ed europee.

A questo punto, secondo voi, fenomeni come clientelismo e rapporti mafia-politica derivano da un comportamento assunto dai politic(ant)i di natura colposa (frutto di ignoranza e menefreghismo) o dolosa (frutto di complicità e correità)?
Parafrasando Indro Montanelli: cosa ne penso io, non lo dico. Ma probabilmente è ciò che pensate voi.

giovedì 7 maggio 2015

ADEMPIERE IL DOVERE MORALE DI FARE SEMPRE IL PROPRIO DOVERE

Ninni Cassarà (1947-1985) 
"Questa mattina ho avuto appena il tempo di fermarmi un attimo di fronte alla edicola della questura centrale e ne ho ricavato una pessima impressione vedendo le prime pagine dei giornali esposti. […] mi sembra che la grande stampa nazionale abbia molto sottovalutato il significato dell’uccisione del nostro collega [il commissario della squadra mobile di Palermo Beppe Montana, assassinato dalla mafia pochissimi giorni prima, il 28 luglio 1985, N.d.A.]
Ancora oggi – è difficile ammetterlo, ma è così – in questo paese esistono morti di serie A, B e C. E’ la spia del valore modesto che i mass media riconoscono alla nostra attività. 
[…] Temo che quel clima di consenso dell’intera opinione pubblica che, anche grazie ai giornali, si era creato, ora stia venendo meno. 
[…] L’impegno della polizia giudiziaria rimane il nucleo propulsivo delle indagini investigative, presupposto fondamentale per ogni indagine, passaggio obbligato per lo sviluppo processuale. Senza la fatica, senza il sangue versato dai nostri poliziotti, molti soloni non potrebbero pontificare né in occasione di convegni né in occasione di summit" 

Ninni Cassarà, dichiarazioni rilasciate a Saverio Lodato e pubblicate il 31 luglio 1985 su "l'Unità" con il titolo "<<Ci sentiamo di nuovo soli, e ora la mafia lo avverte>>".



"Nel frattempo, però, l'impegno investigativo si profondeva con maggiore tenacia ed incisività; d'altro canto, l'esperienza cominciava ad insegnare che, senza una visione unitaria e globale, i brandelli di verità emergenti da tante distinte indagini avrebbero continuato ad essere sviliti e sottovalutati in sede giudiziaria, come nel passato, garantendo una sostanziale impunità alla mafia.
Si giungeva così al rapporto del 13.7.1982 della squadra mobile e dei CC di Palermo, frutto di un generoso sforzo collettivo degli organi di polizia giudiziaria del capoluogo isolano, e segnatamente dell'impegno professionale del dott. Antonino Cassarà, l'abile e brillante funzionario della squadra mobile che il 6.8.1985 ha pagato con la vita il suo nobile impegno, rimanendo vittima di un vile agguato mafioso.
Quel rapporto costituisce il primo organico tentativo di lettura dell'assetto strutturale ed operativo della mafia" 

Antonino Caponnetto, Giovanni Falcone, Paolo Borsellino, Leonardo Guarnotta e Giuseppe Di Lello Finuoli, ordinanza-sentenza contro Abbate Giovanni + 706 emessa l'8 novembre 1985. 
Vennero così rinviati a giudizio 475 presunti mafiosi, dando il via al primo maxiprocesso a Cosa Nostra.



Ninni Cassarà
"Guardi, io ricordo ciò che mi disse Ninni Cassarà allorché ci stavamo recando assieme sul luogo dove era stato ucciso il dottor Montana alla fine del luglio del 1985, credo. 
Mi disse: <<Convinciamoci che siamo dei cadaveri che camminano>> [nove giorni dopo - il 6 agosto 1985 - anche Cassarà sarebbe stato ucciso da Cosa Nostra, N.d.A.].
La... l'espressione di Ninni Cassarà io potrei anche ripeterla ora, ma vorrei poterla ripetere in un modo più ottimistico.
Io accetto la... ho sempre accettato il... più che il rischio, la... la condizione, quali sono le conseguenze del lavoro che faccio, del luogo dove lo faccio e - vorrei dire anche - di come lo faccio.
Lo accetto perchè ho scelto, a un certo punto della mia vita, di farlo e potrei dire che sapevo fin dall'inizio che dovevo correre questi pericoli.
Il... la sensazione di essere un sopravvissuto e di trovarmi in, come viene ritenuto, in... in estremo pericolo, è una sensazione che non si disgiunge dal fatto che io credo ancora profondamente nel lavoro che faccio, so che è necessario che lo faccia, so che è necessario che lo facciano tanti altri assieme a me.
E so anche che tutti noi abbiamo il dovere morale di continuarlo a fare senza lasciarci condizionare e... dalla sensazione che o financo, vorrei dire, dalla certezza che tutto questo può costarci caro" 

Paolo Borsellino, intervista rilasciata al giornalista del Tg5 Lamberto Sposini nella seconda metà del giugno 1992. Risposta alla domanda conclusiva: <<Posso chiederLe se Lei si sente un sopravvissuto?>>.

In primo piano, da sinistra a destra,
Antonino Cassarà, Giovanni Falcone e Rocco Chinnici
sul luogo dell'attentato in cui fu ucciso Pio La Torre,
30 aprile 1982
(© Franco Zecchin)

Ninni Cassarà è morto e continuerà ad esserlo se noi non ne facciamo vivere le passioni e gli ideali nelle nostre piccole e grandi esperienze.
Sfrattiamo dalle nostre menti l'indifferenza.
Scacciamo l'ignavia dai nostri cuori.
Impegniamoci, dunque!
Facciamo vivere Ninni attraverso le nostre azioni, le nostre parole e i nostri pensieri quotidiani.
Dimostriamo concretamente e senza ipocrisie che lui vive - davvero - con noi e dentro di noi.
Facciamone memoria piena, autentica, pratica.
Evitiamo di mettere in atto la solita, stucchevole, retorica messa in scena utile solo a farci credere - illusi - che la nostra coscienza sia a posto.
Come oggi è il giorno in cui un bimbo di nome Antonino è sbocciato alla vita, così il testamento morale che questi ci ha lasciato sbocci nella mente e nel cuore di ognuno di noi.
Già, perchè adesso tocca a noi.
Soltanto a noi.

venerdì 1 maggio 2015

CARNE (albanese) DA MACELLO (italiano)

La vignetta a fianco si riferisce a una sentenza emessa il 19 luglio 2010 (e depositata l'indomani) dalla quarta sezione civile del Tribunale di Torino, in persona del giudice unico Ombretta Maria Salvetti (sent. n. 4932/10).
L'11 febbraio 2002, cinquantacinque giorni dopo la regolare assunzione da parte di un'impresa italiana,  un operaio albanese  precipitava da un'impalcatura a cui stava lavorando presso il Cantiere Navale di Bilbao (Spagna), perdendo la vita, a causa delle gravi e numerose imprudenze e negligenze del datore di lavoro.
Appurata la responsabilità colposa dell'impresa nella produzione dell'infortunio nella misura dell'80% (il restante 20% è stato ritenuto frutto del concorso di colpa dello stesso lavoratore deceduto!!!), il giudice ha condannato l'azienda a risarcire ai genitori e ai fratelli della vittima - residenti in Albania - i danni non patrimoniali da perdita del congiunto.
Ma il bello (si fa per dire) è che il magistrato torinese li ha liquidati in base al potere d'acquisto della moneta di Tirana, dove il denaro sarebbe stato liquidato per essere speso dai familiari dell'operaio deceduto.
Infatti - ha scritto la Salvetti nelle motivazioni del verdetto - qualora si prescindesse dal contesto economico in cui vive il danneggiato, coloro i quali abitassero in Paesi con un'economia depressa e con un basso costo della vita si arricchirebbero senza motivo.
Pertanto, individuando il potere d'acquisto della valuta albanese, il tribunale ha proceduto moltiplicando l'80% del danno accertato per il coefficiente 0,3983, parametro di riduzione da applicare ai risarcimenti da accreditare in Albania.
Ricapitolando.
Un operaio albanese muore non solo perchè il suo datore di lavoro non assolve i propri doveri di protezione dei lavoratori, ma anche per colpa sua (quel 20% di responsabilità, la cui stima rappresenta un mistero doloroso).
Quindi il danno deve essere liquidato non al 100 per cento, ma all'80.
Inoltre la vittima paga un'altra colpa, quella di avere una famiglia albanese che osa addirittura vivere in Albania!
Decisamente imperdonabile, nulla da dire...
Perciò quell'80 per cento va ridotto ulteriormente perchè l'Albania è un Paese povero, della cui valuta non possiamo assolutamente ignorare il potere d'acquisto, pena arricchirne ingiustamente i cittadini.
E questo è davvero troppo per una Repubblica che - ai sensi di uno dei suoi principi fondamentali - "garantisce i diritti inviolabili dell'uomo" e "richiede l'adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale" (art. 2 della Costituzione)!!!
Ora ci risiamo.
Quasi cinque anni dopo l'incredibile sentenza del tribunale piemontese, un altro operaio albanese è morto sul posto di lavoro
Leggete con attenzione un'acuta riflessione di Giulio Cavalli e - nella speranza che stavolta ci sia un giudice a Berlino - meditate!