venerdì 24 aprile 2015

TROVARE IL CORAGGIO DI RIBELLARSI PER UNA VITA MIGLIORE

Lea Garofalo (1974-2009)
"Signor presidente della Repubblica, 
chi le scrive è una giovane madre, disperata, allo stremo di tutte le proprie forze, psichiche e mentali in quanto quotidianamente torturata da anni dall'assoluta mancanza di adeguata tutela da parte di taluni liberi professionisti, quali il mio attuale legale che si dice disponibile a tutelarmi e di fatto non risponde neanche alle mie telefonate. 
Siamo da circa 7 anni in un programma di protezione provvisorio in casi normali la provvisorietà dura all'incirca 1 anno, in questo caso si è oltrepassato ogni tempo e, permettetemi, ogni limite, in quanto quotidianamente vengono violati i nostri diritti fondamentali sanciti dalle leggi europee. 
Il legale assegnatomi dopo avermi fatto figurare come collaboratrice, termine senza che mai e dico mai ho commesso alcun reato in vita mia. 
Sono una donna che si è presa sempre le proprie responsabilità e che da tempo ha deciso di rompere ogni tipo di legame con la propria famiglia e con il convivente. 
Cercando di riniziare una vita all'insegna della legalità e della giustizia con mia figlia. 
Dopo numerose minacce psichiche, verbali e mentali, decido di denunciare tutti. 
Vengo ascoltata da un magistrato dopo un mese dalle mie dichiarazioni in presenza di un maresciallo e di un legale assegnatomi, mi dissero che bisognava aspettare di trovare un magistrato che non fosse corrotto dopo oltre un mese passato scappando di città in città per ovvie paure e con una figlia piccola, i carabinieri ci condussero alla procura della Repubblica di C. e li fui sentita in presenza di un avvocato assegnatomi dalla stessa procura. 
Questi mi comunicarono di figurare come collaboratore, premetto di non avere nessuna conoscenza giuridica, pertanto il termine di collaboratore per una persona ignorante, era corretto in quanto stavo collaborando al fine di far arrestare dei criminali mafiosi. 
Dopo circa tre anni il mio caso passa ad un altro magistrato e da lui appresi di essere stata maltutelata dal mio legale. 
Oggi mi ritrovo, assieme a mia figlia isolata da tutto e da tutti, ho perso tutto, la mia famiglia, ho perso il mio lavoro (anche se precario) ho perso la casa, ho perso i miei innumerevoli amici, ho perso ogni aspettativa di futuro,ma questo lo avevo messo in conto, sapevo a cosa andavo incontro facendo una scelta simile. 
Quello che non avevo messo in conto e che assolutamente non immaginavo, e non solo perché sono una povera ignorante con a mala pena un attestato di licenza media inferiore, ma perché pensavo sinceramente che denunciare fosse l'unico modo per porre fine agli innumerevoli soprusi e probabilmente a far tornare sui propri passi qualche povero disgraziato sinceramente, non so neanche da dove mi viene questo spirito, o forse sì, visti i tristi precedenti di cause perse ingiustamente da parte dei miei familiari onestissimi! 
Gente che si è venduta pure la casa dove abitava, per pagare gli avvocati e soprattutto, per perseguire un'idea di giustizia che non c'è mai stata, anzi tutt'altro! 
Oggi e dopo tutti i precedenti, mi chiedo ancora come ho potuto, anche solo pensare che in Italia possa realmente esistere qualcosa di simile alla giustizia, soprattutto dopo precedenti disastrosi come quelli vissuti in prima persona dai miei familiari. 
Eppure sarà che la storia si ripete o che la genetica non cambia, ho ripetuto e sto ripetendo passo dopo passo quello che nella mia famiglia è già successo, e sa qual è la cosa peggiore? 
La cosa peggiore è che conosco già il destino che mi aspetta, dopo essere stata colpita negli interessi materiali e affettivi arriverà la morte! 
Inaspettata indegna e inesorabile e soprattutto senza alcuna soddisfazione per qualche mio familiare è stata anche abbastanza naturale se così di può dire, di una persona che muore perché annega i propri dolori nell'alcol per dimenticare un figlio che è stata ucciso per essersi rifiutato di sottostare ai ricatti di qualche mafioso di turno. 
Per qualcun altro è stato certamente più atroce di quanto si possa immaginare lentamente, perché questo visti i risultati precedenti negativi si è fatto giustizia da solo e, si sa, quando si entra in certi circoli viziosi difficilmente se ne esce indenni tutto questo perché le istituzioni hanno fatto orecchie da mercante! 
Ora con questa mia lettera vorrei presuntuosamente, cambiare il corso della mia triste storia perché non voglio assolutamente che un giorno qualcuno possa sentirsi autorizzato a fare ciò che deve fare la legge e quindi sacrificare se pur per una giustissima causa la propria vita e quella dei propri cari per perseguire un'idea di giustizia che tale non è più, nel momento in cui ce la si fa da soli e, con metodi diciamo così spicci. 
Vorrei Signor Presidente, che con questa mia richiesta di aiuto, lei rispondesse alle decine, se non centinaia di persone oltre a me che oggi si trovano nella mia stessa situazione. 
Ora non so, sinceramente, quanti di noi non abbiano mai commesso alcun reato e, dopo aver denunciato diversi atti criminali, si sono ritrovati catalogati come collaboratori di giustizia e quindi appartenenti a quella nota fascia di infami, così comunemente chiamati in Italia, piuttosto che testimoni di atti criminali, perché le posso assicurare, in quanto vissuto personalmente che esistono persone che nonostante essere in mezzo a situazioni del genere riescono a non farsi compromettere in nessun modo e ad aver saputo dare dignità e speranza oltre che giustizia alla loro esistenza. 
Lei oggi, signor presidente, può cambiare il corso della storia, se vuole può aiutare chi, non si sa bene perché, o come, riesce ancora a credere che anche in questo paese vivere giustamente si può, nonostante tutto! 
La prego signor presidente ci dia un segnale di speranza, non attendiamo che quello, e a chi si intende di diritto civile e penale, anche voi aiutate chi è in difficoltà ingiustamente! 
Personalmente non credo che esiste chissà chi o chissà cosa, però credo nella volontà delle persone, perché l'ho sperimentata personalmente e non solo per cui, se qualche avvocato legge questo articolo e volesse perseguire un'idea di giustizia accontentandosi della retribuzione del patrocinio gratuito e avendo in cambio tante soddisfazioni e una immensa gratitudine da parte di una giovane madre che crede ancora in qualcosa di vagamente reale, oggi giorno in questo paese si faccia avanti, ho bisogno di aiuto, qualcuno ci aiuti. Please!
Una giovane madre disperata"

Lea Garofalo, lettera aperta rivolta al Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano e inviata ad alcuni giornali nazionali nell'aprile 2009 (pochi mesi prima di essere barbaramente uccisa dalla 'ndrangheta). 
La missiva sarebbe stata pubblicata solo il 2 dicembre 2010 da "il Quotidiano della Calabria", quando ormai la sua autrice non c'era più.



Lea Garofalo
"Nei suoi confronti [di Lea Garofalo, N.d.A.] sono state spese tante parole, è stata destinataria di tanti epiteti, il processo l'ha vista, purtroppo, quale vittima protagonista di una storia tanto triste quanto crudele.
L'intera istruttoria ha comunque evidenziato in modo certo ed indiscusso la grande sofferenza che ha caratterizzato la vita di Lea.
Ciò che emerge dalle dichiarazioni rese nel corso degli anni e consacrate negli asettici verbali sono i suoi sentimenti di rabbia, frustrazione, oppressione, sfiducia, disillusione che ben si risolvono nella sua sofferenza che, se nel lontano 1993 l'aveva indotta a tentare il suicidio, nel 2009 l'aveva portata a rassegnarsi ai desiderata di Carlo Cosco [il compagno mafioso di Lea, N.d.A.] pur di salvare Denise [la figlia di Lea e Carlo Cosco, N.d.A.] e cercare di costruire per lei un futuro.
Lea aveva investito tutto nella figlia, era la sua ragione di vita e mai l'avrebbe abbandonata, l'avrebbe lasciata.
Il desiderio di Lea di raggiungere i lidi australiani era di attuarlo unitamente a Denise.
Le sue battaglie, non sempre andate a buon fine, erano dirette a garantire a Denise una vita diversa.
Per Denise, Lea si era messa contro il convivente, i parenti dello stesso, il proprio fratello Floriano che l'aveva cresciuta come padre ed ha fatto scelte di vita difficili di cui si è assunta ogni responsabilità, coinvolgendo la figlia nella convinzione di strapparla dall'ambiente criminale di Petilia Policastro [caratterizzato dal dominio della 'ndrangheta, N.d.A.]"  

Corte di Assise di Milano, sentenza del 30 marzo 2012 (motivazioni scritte dal Presidente Anna Introini e depositate nel maggio 2012) nel procedimento contro gli assassini di Lea Garofalo.



"Lea era nata in una famiglia in cui violenza ed illegalità erano i caratteri dominanti e fin da piccola aveva tentato di sottrarsi a quel codice.
[...] Orbene, la sentenza di primo grado evidenzia una pluralità di elementi oggettivi da cui trae il convincimento che Cosco Carlo abbia maturato negli anni e mai dismesso il proposito di uccidere l'ex convivente.
I rilievi difensivi in merito risultano del tutto inefficaci. 
L'asserita indifferenza di Carlo Cosco verso le scelte di vita di Lea Garofalo è, oltre che surreale, smentita dalle plurime risultanze probatorie evidenziate nella sentenza di primo grado.
Al di là dell'inserimento o meno in un contesto mafioso, l'imputato - per provenienza da un ambiente chiuso, ancora intriso di valori primordiali, e per povertà di strumenti culturali - appartiene ad una sottocultura che non è incline a tollerare lo svilimento della figura maschile e del suo ruolo primario all'interno della coppia da parte di una donna.
Tanto meno, nell'ambito di una ancor più ristretta logica di matrice criminale.
Lo dimostra la reazione violenta avuta dal Cosco in carcere alla notizia - appresa nel corso di un colloquio cui era presente anche suo padre - che la sua convivente, la madre di sua figlia, intendeva lasciarlo e trasferirsi a Bergamo.
In un siffatto contesto è davvero incredibile che Carlo possa avere riconosciuto la libertà della donna di fare la sua vita e che addirittura possa essere rimasto indifferente alla notizia dell'avvio, da parte della stessa, di una relazione sentimentale con un altro uomo, notizia che, per essergli stata comunicata in carcere [...] era, con evidenza, già a conoscenza di terzi.
Il particolare è rilevante, in quanto si lega - temporalmente e logicamente - con la proposta dallo stesso fatta al Cortese [Angelo, pentito di 'ndrangheta all'epoca recluso nello stesso carcere con Carlo Cosco, N.d.A.] di uccidere la donna che lo aveva abbandonato, per giunta mentre era in carcere, rifiutandosi perfino di accompagnare sua figlia ai colloqui.
[...] In una situazione di così esacerbato rancore per l'abbandono impostogli, per l'orgoglio ferito, per l'umiliazione di mostrarsi impotente agli occhi di familiari, amici, compaesani, compagni di detenzione, per la privazione del rapporto affettivo con Denise, la scelta collaborativa di Lea non può che avere svolto una funzione moltiplicatrice. 
Le risultanze processuali non consentono di ascrivere - con certezza, e tanto meno in via esclusiva - la causale dell'omicidio a quanto dichiarato da Lea Garofalo in veste di collaboratrice [nel senso di testimone di giustizia, cioè di una persona onesta e perbene che denuncia alle forze dell'ordine e alla magistratura fatti delittuosi dei quali sia stata vittima o testimone o di cui sia venuta a conoscenza, N.d.A.].
[...] Ma è il fatto in sè della collaborazione che appare idoneo ad allarmare soggetti adusi a vivere di illeciti, tanto più quando non si conoscono l'oggetto e la portata effettiva delle dichiarazioni rese dal collaborante.
Non è un caso che - secondo quanto riferito da Denise - il padre aveva subito approfittato del loro riavvicinamento per avere informazioni sul contenuto delle dichiarazioni di Lea, e perfino per ottenere i verbali delle stesse, evidentemente non appagato, ed anzi vieppiù allarmato, dalle assicurazioni ricevute dalla donna sulla ritrattazione che avrebbe effettuato in caso di sviluppi processuali a suo carico.
La circostanza [risulta, N.d.A.] significativa del fatto che Lea aveva realmente reso nei suoi confronti delle dichiarazioni accusatorie suscettibili di sviluppi processuali sfavorevoli [a Carlo Cosco, N.d.A.].
L'esigenza di <<sapere>> prima di uccidere [...] si presenta, pertanto, come circostanza credibile.
[...] Carlo Cosco non ha mai accettato le scelte trasgressive - sia rispetto alle regole di vita familiare, sia rispetto a quelle imperanti in ambito criminale, tanto più se contiguo, come nel caso concreto, ad un'associazione di stampo mafioso - di Lea Garofalo ed ha, anzi, maturato e coltivato per anni un odio profondo nei confronti della stessa, canalizzandolo verso un unico, perdurante obiettivo: cancellarla dalla faccia della Terra non solo uccidendola, ma anche disperdendone ogni traccia materiale"

Corte di Assise d'Appello di Milano, sentenza n. 35 del 29 maggio 2013 (motivazioni scritte dal Presidente Anna Conforti e depositate nell'agosto 2013) nel procedimento contro gli assassini di Lea Garofalo.

Foto tratta dal blog di Paolo De Chiara (paolodechiara.com),
autore di "Il coraggio di dire no",
il primo libro interamente dedicato alla storia di Lea Garofalo    

"Ciao a tutti. 
Grazie di cuore di essere venuti oggi.
Per me è un giorno molto difficile, ma la forza me la stai dando tu.
Grazie per quello che hai fatto per me… per darmi una vita migliore.
Se è successo tutto questo è solo per il mio bene e non smetterò mai di ringraziarti.
Ciao mamma!"


I palloncini lasciati salire al cielo in ricordo di tutte le vittime di mafia,
Bologna, "XX giornata della memoria e dell'impegno" organizzata da "Libera",
21 marzo 2015

Lea Garofalo è morta e continuerà ad esserlo se noi non ne facciamo vivere le passioni e gli ideali nelle nostre piccole e grandi esperienze.
Sfrattiamo dalle nostre menti l'indifferenza.
Scacciamo l'ignavia dai nostri cuori.
Impegniamoci, dunque!
Facciamo vivere Lea attraverso le nostre azioni, le nostre parole e i nostri pensieri quotidiani.
Dimostriamo concretamente e senza ipocrisie che lei vive - davvero - con noi e dentro di noi.
Facciamone memoria piena, autentica, pratica.
Evitiamo di mettere in atto la solita, stucchevole, retorica messa in scena utile solo a farci credere - illusi - che la nostra coscienza sia a posto.
Come oggi è il giorno in cui una bimba di nome Lea è sbocciata alla vita, così il testamento morale che lei ci ha lasciato sbocci nella mente e nel cuore di ognuno di noi.
Già, perchè adesso tocca a noi.
Soltanto a noi.

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