lunedì 20 aprile 2015

LA CONTRADA EUROPEA DEI DIRITTI
DELL'UOMO (MAFIOSO) 


Tempi duri per il reato di concorso esterno in associazione mafiosa, cioè per l'unico strumento investigativo-giudiziario con cui sia possibile contrastare quell'"intreccio perverso che costituisce la spina dorsale del potere mafioso" (secondo l'ottima definizione coniata da Gian Carlo Caselli in un editoriale pubblicato il 13 marzo 2012 su "il Fatto Quotidiano").
Il 24 marzo scorso, infatti, appena 48 ore prima che la Corte Costituzionale depositasse le motivazioni della discutibilissima sentenza n. 48/2015 (in virtù della quale, d'ora in poi, agli indiziati di concorso esterno in associazione mafiosa sarà possibile applicare misure cautelari alternative al carcere, finora sempre obbligatorio), la quarta sezione della Corte europea dei diritti dell'uomo di Strasburgo ha adottato una sentenza ancora più controversa.  
Secondo tale verdetto - le cui motivazioni sono state pubblicate sei giorni fa - il reato scaturito dal combinato disposto degli articoli 110 e 416-bis del codice penale italiano è il risultato di uno sviluppo giuridico iniziato alla fine degli anni '80 del secolo scorso, ma consolidatosi soltanto nel 1994, attraverso un verdetto della Cassazione (Sezioni Unite Penali, sentenza 5 ottobre - 28 dicembre 1994, n. 16, procedimento contro Demitry Giuseppe) giudicato risolutivo del lungo contrasto giurisprudenziale sulla configurabilità del concorso esterno in associazione mafiosa.
Di conseguenza, visto che "nessuno può essere condannato per un comportamento commissivo od omissivo che, al momento in cui è stato commesso, non costituiva reato secondo il diritto nazionale o internazionale" (trattasi del principio dell'irretroattività della legge penale, previsto non solo dal citato art. 7 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, ma anche dall'art. 25 della Costituzione italiana e dall'art. 2 del nostro codice penale), è legittimo emanare condanne per il delitto di concorso esterno in associazione mafiosa solamente per fatti commessi dopo l'autunno del 1994, quando l'imputato - grazie al definitivo riconoscimento della configurabilità del delitto in questione da parte delle Sezioni Unite della Cassazione - poteva sapere che le conseguenze delle sue azioni erano penalmente sanzionabili.
E' il caso di Bruno Contrada, condannato in via definitiva a 10 anni di reclusione, all'interdizione perpetua dai pubblici uffici e - una volta espiata la pena - alla libertà vigilata per almeno 3 anni per "avere, dapprima nella qualità di funzionario di p.s. della Questura di Palermo, poi in quella di dirigente presso l'Alto Commissariato per il coordinamento della lotta alla criminalità mafiosa e - infine - presso il SISDE, contribuito alle attività e agli scopi criminali dell'associazione mafiosa denominata Cosa Nostra, fornendo <<ad esponenti della commissione provinciale di Palermo di Cosa Nostra notizie riservate, riguardanti indagini ed operazioni di polizia da svolgere nei confronti dei medesimi e di altri appartenenti all'associazione>>" (Cassazione, sezione VI penale, sentenza 10 maggio 2007 - 8 gennaio 2008, n. 542).
E' proprio esprimendosi su un suo ricorso che la Corte europea ha condannato lo Stato italiano a versargli 12.500 euro, di cui 10.000 come risarcimento del danno non patrimoniale patito e 2.500 per le spese sostenute in giudizio.
I giudici di Strasburgo, infatti, rammentano che la condanna di Contrada ha riguardato fatti criminosi da lui compiuti - oltre ogni ragionevole dubbio - tra il 1979 e il 1988, dunque prima di quel 1994 fissato quale limite temporale da valicare necessariamente qualora si voglia contestare il reato di concorso esterno in associazione mafiosa.
Bruno Contrada,
il mafioso travestito da poliziotto
Tuttavia, se i giudici europei avessero letto con maggiore attenzione la sentenza emessa poco più di vent'anni fa dalla Cassazione nel procedimento contro Demitry Giuseppe - da loro stessi valutata come fondamento del proprio giudizio - si sarebbero accorti di un dettaglio di non poco conto.
Preso atto dell'attualità di un contrasto giurisprudenziale sulla configurabilità del concorso esterno in associazione mafiosa, i magistrati italiani esposero i termini di tale contrasto, evidenziando la presenza di due indirizzi diversi: l'uno che escludeva la configurabilità del reato, l'altro che invece l'ammetteva.
La domanda allora è: qual era la situazione alla data del 7 febbraio 1988, giorno definitivamente posto a conclusione della condotta di sistematica agevolazione di Cosa Nostra adottata da Contrada a partire dalla fine degli anni '70?

  • L’indirizzo che escludeva la configurabilità del reato in questione era stato fatto proprio da un solo provvedimento, la sentenza 19 gennaio 1987, n. 107 emessa dalla prima sezione penale della Cassazione;

  • l'indirizzo che viceversa ammetteva la configurabilità del concorso esterno era già stato adottato da una pluralità di verdetti
  1. Cassazione, sezione I penale, sentenza del 27 novembre 1968, n. 1659, secondo cui - in riferimento al reato di cospirazione politica mediante associazione - "la figura del concorrente [...] è individuabile nell'attività di chi - pur non essendo membro del sodalizio, cioè non aderendo ad esso nella piena accettazione dell'organizzazione, dei mezzi e dei fini - contribuisce all'associazione mercé un apprezzabile e fattivo apporto personale, agevolandone l'affermarsi e facilitandone l'operare, conoscendone l'esistenza e le finalità e avendo coscienza del nesso causale del suo contributo";
  2. Cassazione, sezione I penale, sentenza del 13 giugno 1987 n. 3492, secondo la quale - riferendosi espressamente al concorso esterno in associazione mafiosa - "il concorso [...] si configura [...] non soltanto nel caso di concorso psicologico - nelle forme della determinazione e della istigazione nel momento in cui l'associazione viene costituita - ma anche successivamente quando il terzo non abbia voluto entrare a far parte dell'associazione o non sia stato accettato come socio e, tuttavia, presti all'associazione medesima un proprio contributo, a condizione che tale apporto, valutato ex ante, e in relazione alla dimensione lesiva del fatto e alla complessità della fattispecie, sia idoneo, se non al potenziamento, almeno al consolidamento e al mantenimento della organizzazione". Il reato di concorso esterno in associazione mafiosa, dunque, esisteva e consisteva "in un apporto obiettivamente adeguato e soggettivamente diretto a rafforzare o mantenere in vita l'associazione criminosa, con la consapevolezza e la volontà di contribuire alla realizzazione degli scopi dell’associazione a delinquere, con la conseguenza che il concorso non sussiste quando il contributo è dato ai singoli associati, ovvero ha ad oggetto specifiche imprese criminose e l'agente persegua fini suoi propri in una posizione indifferente rispetto alle finalità proprie della associazione";
  3. Cassazione, sezione I penale, sentenza del 4 febbraio 1988 n. 9242, che sottolineava la sporadicità della condotta del concorrente esterno, il quale - estraneo alla struttura organica del clan - doveva limitarsi all'"occasionale e non istituzionalizzata prestazione di un singolo comportamento, non privo di idoneità causale per il conseguimento dello scopo, che costituisca autonoma e individuale manifestazione di volontà criminosa e si esaurisca nel momento della sua espressione perché ontologicamente concepita e determinata nei correlativi limiti di tempo e di efficacia".
Dunque nel decennio per cui è scattata la condanna definitiva di Bruno Contrada (fine anni '70 - 7 febbraio 1988) il bilancio complessivo fornito dalla giurisprudenza nazionale contemplava ben tre pronunce favorevoli al riconoscimento del reato contestato all'ex poliziotto e solamente una contraria. 
Insomma, il concorso esterno in associazione mafiosa batteva 3-1 i suoi detrattori negazionisti.
Invece la Corte europea dei diritti dell'uomo - pur conoscendo l'intero "sviluppo giurisprudenziale iniziato alla fine degli anni Ottanta del secolo scorso" - ha sancito che il concorso esterno "si è consolidato nel 1994 con la sentenza Demitry".
Quella stessa sentenza che - dopo aver classificato e passato in rassegna i verdetti contrastanti sull'ammissibilità del delitto di concorso esterno - ha optato per l'indirizzo della configurabilità, conformandosi così ai tre giudizi precedenti sopra menzionati (il primo dei quali risalente al 1968, addirittura prima che Contrada iniziasse a commettere i fatti ritenuti criminosi).
Eppure - strano, ma vero - Strasburgo ha concluso che quando Contrada metteva in atto le sue azioni illecite "il reato non era sufficientemente chiaro e prevedibile", pertanto l'imputato non poteva conoscere la punibilità dei suoi comportamenti.
Risulta pertanto incomprensibile la condanna dell'Italia per la violazione dell'art. 7 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali.
Anche perchè - come puntualmente fatto notare da due ex magistrati che di lotta ai colletti bianchi mafiosi se ne intendono - "Strasburgo sembra essere caduta in un equivoco, perché (ammesso e non concesso che il concorso esterno non fosse configurabile) si sarebbe dovuto comunque condannare per il delitto di favoreggiamento della mafia [trattasi del reato previsto dal secondo comma dell'articolo 378 del codice penale - favoreggiamento personale nei confronti di appartenenti a un sodalizio mafioso - in vigore dal 29 settembre 1982 grazie alla legge Rognoni - La Torre, N.d.A.], sicché le gravi condotte del dott. Contrada mai sarebbero potute andare esenti da pena. E questo il dott. Contrada, come qualunque altro cittadino italiano, lo sapeva bene".
Ma forse il vero equivoco è un altro.
A Strasburgo non esiste una Corte, ma una Contrada: la Contrada europea dei diritti dell'uomo (mafioso).

Il concorso esterno in associazione mafiosa

P.S. Non sono parole della Cassazione, ma di una "semplice" ordinanza-sentenza:

"Manifestazioni di connivenza e di collusione da parte di persone inserite nelle pubbliche istituzioni possono - eventualmente - realizzare condotte di fiancheggiamento del potere mafioso, tanto più pericolose quanto più subdole e striscianti, sussumibili - a titolo concorsuale - nel delitto di associazione mafiosa. Ed è proprio questa convergenza di interessi col potere mafioso che costituisce una delle cause maggiormente rilevanti della crescita di Cosa Nostra e della sua natura di contropotere, nonchè, correlativamente, delle difficoltà incontrate nel reprimerne le manifestazioni criminali".

Firmato: Antonino Caponnetto, Giovanni Falcone, Leonardo Guarnotta e Giuseppe Di Lello Finuoli.
A quale data risalgono queste parole?
Al 17 luglio del 1987, ovvero 205 giorni prima che terminasse la condotta accertata di sistematica agevolazione della mafia attuata da Contrada.
In fondo, tutto torna: come poteva un così fedele servitore dello Stato-Mafia e della Mafia-Stato immaginare che i suoi comportamenti filo-mafiosi costituissero reato?
D'altronde, essendo continuamente impegnato a correre avanti e indietro in aiuto dei padrini, dove lo trovava il tempo per leggere (e capire) le ordinanze-sentenze di Caponnetto e Falcone?

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