venerdì 2 gennaio 2015

A FIANCO DEI DEBOLI, CONTRO I POTENTI

Placido Rizzotto (1914-1948)
"[Placido Rizzotto, N.d.A.] si faceva rispettare da tutti, era ben voluto da tutti. Solo da quelle canaglie che si erano arricchite con la guerra non era ben voluto, non ci piaceva l'andamento che aveva lui, perchè era popolano. E per ragione di persone che volevano tenere cariche nel comune e fare l'onorevole alla regione, e siccome lui conosceva che tipo erano, gente dell'alta mafia, che conferivano anche con la questura e con la magistratura, e siccome si erano arricchiti con la guerra, e allora cominciò a svolgere quest'affare di sindacalista a favore del popolo. 
Quando ha fatto poi il sindacalista, queste cose ce le devono contare i suoi amici che le sanno meglio di me; che ci mandarono contro l'alta mafia. 
[...] Quando hanno capito che era intelligente, ecco che l'hanno esaurito. Come Bernardino Verro [sindacalista, leader del movimento contadino, primo sindaco socialista di Corleone. Da sempre in lotta per il miglioramento dei contratti agrari e un'equa ridistribuzione del latifondo, il 2 giugno 1906 aveva fondato una cooperativa di contadini - chiamata "Unione Agricola" - allo scopo di ottenere le terre direttamente dagli agrari, attraverso le affittanze collettive e senza passare dall'intermediazione dei gabellotti. Questi ultimi, infatti, erano soliti prendere in affitto dagli agrari grandi estensioni di terreno, per poi suddividerle in piccoli lotti e subaffittarle ai contadini, sempre più sfruttati e ridotti alla fame. Si trattava della borghesia mafiosa dell'epoca, della cui forza militare si servivano i possidenti per tenere sotto controllo le campagne. L'azione di Bernardino Verro si scontrava inevitabilmente con gli interessi e il potere dei mafiosi, essendo riuscito a sottrar loro feudi per mezzo della cooperazione e del mutuo soccorso. Per questo era stato ucciso il 3 novembre 1915, N.d.A.] era tipo scaltro, popolano; quando l'ammazzarono Verro io ero all'ospedale a Palermo. Dicevano l'alta mafia: <<Perchè non si fa i fatti suoi?>>. Dicevano che era spia perchè si interessava dei fatti degli altri. Volevano che si ritirasse. L'alta mafia fanno fare, che sono influenzati con la prefettura, con la magistratura, con la polizia; loro escono a galla e quelli fanno per avere favori e prestigio di comando. 
Io gli dicevo: <<Stai attento a quello che fai, di essere buono con tutti>>. E lui diceva: <<Io male non ne faccio a nessuno>>. E quelli della mafia, ambiziosi di comando, lo impellicciavano: <<Placido di qua, Placido di là>>, lo accarezzavano; e intanto gli preparavano la trappola. Neanche Navarra era dell'alta mafia, il medico direttore dell'ospedale, anche lui eseguiva, c'era superiore a lui. Era alta mafia solo per Corleone"

Carmelo Rizzotto (padre di Placido), racconto raccolto da Danilo Dolci e trascritto fedelmente in "Spreco. Documenti e inchieste su alcuni aspetti dello spreco nella Sicilia occidentale", opera dello stesso Dolci pubblicata dall'editore Einaudi nel 1960. 
Carmelo, arrestato nel 1925 per associazione a delinquere, era rimasto in galera per 4 anni.




"[Placido Rizzotto, N.d.A.] attraverso suo padre era venuto a conoscenza di come operava la mafia, come la mafia era a servizio dei ricchi. Quando ci fu l'avvento di Mussolini, i ricchi non hanno avuto più bisogno della mafia e suo padre l'hanno buttato in galera. Lui cominciò a maturare i suoi sentimenti perchè sapeva tutto attraverso il padre e i parenti, che qualcuno di loro pare ci aveva a che fare anche con la vecchia mafia di Angelo Spatafora, nello stesso tempo che facevano parte della cooperativa di Bernardino Verro. Andò in galera anche lui, per sei mesi, quand'era più giovane, non so perchè [all'età di 19 anni, Placido Rizzotto fu incarcerato per un furto di 64 lire, N.d.A.]Andò poi dai sindacati perchè capì che attraverso i sindacati potevano sollevarsi le sorti dei contadini poveri. Lui era contro chi prendeva il terreno in gabella, in fitto, perchè sosteneva che il gabelloto era più angherioso, più soperchioso del proprietario. Lo spiegava il perchè. Riteneva che le gabelle erano cose da eliminare. Sapeva che suo padre era stato gabelloto, sapeva che suo padre non lavorava, e come trattava i contadini, faceva riferimento a esperienze proprie. Io gli domandavo: <<Come mai, invece di essere nella direzione della tua famiglia, ci sei contro quella direzione?>>. Mi rispondeva quello che faceva la mafia, perchè sapeva di omicidi, di soprusi, ne sapeva da non finire mai. <<Anche che io crepassi di fame, terra non ne chiedo ai mafiosi>>. 
Si era messo contro quelli che conducono i torchi di olio, si era messo contro in questo senso, che pretendevano un prezzo esagerato per uscire l'olio, e poi dove esce quest'olio, ci rubavano l'olio ai contadini; e proprio in piazza davanti al municipio, ha avuto una discussione direi violenta con questi esercenti, e tra questi esercenti c'è sempre la mafia. Si era recato diverse volte in campagna ad assistere i funzionari dei sindacati che venivano a visitare le terre incolte, che queste terre le avevano tutte i mafiosi nelle mani. E poi ha avuto una questione molto violenta, proprio con i mafiosi stessi. C'era il razionamento, e i magazzini li avevano i mafiosi nelle mani, questi intrallazzavano con il zucchero, intrallazzavano con la farina, intrallazzavano con la pasta, e oltre a questi intrallazzi erano riusciti a mettere un soprapprezzo a questi generi mediante l'accordo con un assessore comunale che poi è stato denunziato. E ha fatto pressione per levarlo questo magazzino a questi mafiosi e farlo gestire da un ente pubblico o da persone che facessero l'interesse della gente. 
Per questo l'ammazzarono, perchè si intrigava in tutte queste cose, perchè andava scovando; non si faceva i fatti suoi, diceva qualcuno; si andava a intrigare in cose che non lo riguardavano, dicevano loro. E il bello è che ce lo dicevo pure io. <<Ma Placido, le gambe ai cani che ce le devi raddrizzare tu?>> e ora ti dico come mi rispondeva lui: <<La sciarra è fatta per la cutra: la lite è fatta per la coperta>>, intendeva dire la proprietà [ovvero la lotta tra contadini e padroni c'è perchè esiste la proprietà privata, N.d.A.]. <<Occorre eliminare questa corsa all'arricchimento>>, questo è come vedeva lui, <<il momento in cui non ci sarà bisogno di farsi la proprietà per campare, cade automaticamente la sciarra per la cutra>>. Lui non studiava per niente, studiava le cose. Io gli dicevo: <<Ma vedi che ti ammazzano>>. Perchè dicevo: <<Vedi che ti ammazzano?>>. Perchè ne avevano uccisi parecchi di segretari della Camera del lavoro, si poteva contare il numero. E lui poveretto era illuso e mi rispondeva: <<Dopo che mi ammazzano non hanno risolto niente, dopo di me quanti ne spunteranno di segretari della Camera del lavoro. Non è che ammazzando me, finisce>>. 
[...] Sai quale era l'illusione che aveva lui? <<Se mi ammazzano, tutti i villani faranno l'ira di Dio>>, lui credeva a una ribellione da parte dei contadini perchè aveva operato sempre per i contadini. Invece la verità non fu così. Si sbagliò in pieno. Dopo che l'hanno ucciso, niente. [...]
Per la verità, tutta la gente ha avuto paura, tutti. [...] <<Quando mi ammazzano, ne viene un altro>>; e cercava di incoraggiarli, di aiutare gli altri a liberarsi dalla paura, dalla vigliaccheria. E poi a poco a poco la gente è rivenuta: avevano bisogno elenchi anagrafici e tutta l'assistenza che la Camera del lavoro poteva dare.
Ma niente furore di popolo, lo credeva Placido che la gente aveva capito da che parte c'era il bene, da che parte c'era il male, che eravamo già organizzati. Ma la gente non aveva visto proprio niente. Debbo dire la verità? Lui aveva la possibilità di impiegarsi e lui era uno dei primi che si poteva sistemare all'Assemblea regionale. Se ero io mi sistemavo e continuavo a fare attività politica lontano da Corleone. Invece lui non ha voluto farlo. Che razza di testa che aveva: <<Se mi ammazzano>>, diceva, <<ho campato più assai di un porco>>. Non mirava a sistemarsi. Secondo me ci pareva sempre poco quello che faceva, ci pareva che tutto il suo dovere per la Camera del lavoro, per i contadini, non lo faceva.
[...] Che lui si immedesimava dei bisogni degli altri anche se gli altri non avevano la sua idea politica. 
[...] Placido scriveva lettere, ordini del giorno, relazioni, preparava lo scritto e poi mi dava da correggere gli errori di grammatica. Ma non voleva che si toccasse la sostanza: il suo concetto doveva restare quello che era. Lui diceva tante cose, faceva tanti calcoli, che noi ci mettevamo a ridere. Levando il gabelloto, lui vedeva che sarebbe aumentata la produzione e sarebbe stato investito il capitale che veniva di più in modo di aumentare l'occupazione della gente. Lui sosteneva che la giornata che lui conosceva anche di dodici,tredici, quattordici ore, poteva così diminuire conseguendo un maggiore reddito. Lui ci faceva discussioni enormi di ste storie. Se aveva letto libri di Marx? Una volta gli hanno dato un libro di Marx in prestito, ma lui l'ha piantato, diceva che non era all'altezza di capire, perchè la cultura non ce l'aveva, però queste cose le capiva per conto suo. Ero arrivato perfino a pensare che poteva essergli venuta meno voglia di lavorare e allora per quello si smidollava, si sfirniciava a studiare questi problemi per cercare di lavorare sempre di meno. Quello che diceva lui era questo: tutto il sangue che i ricchi tirano ai poverelli, se lo mettevano nelle banche in modo da sfruttarlo solo per loro e non lo impiegavano per fare lavorare e produrre gli altri. Quattro o cinque ore in certe serate a discutere che il reddito, andando avanti così, non sarebbe aumentato per tutti. L'oggetto delle sue discussioni era questo, era la sua passione approfondire questo problema. Non aveva cultura ma era un ragionatore: una cosa la vedeva da tutti i lati. Era un critico terribile, anche dei nostri stessi: diceva sempre: <<Questo non si doveva dire, questo si doveva fare>>, ma non studiava mai libri, aveva la sua testa.
[...] Che interesse preciso avevano a toglierlo di mezzo? Secondo me i mafiosi locali avevano visto in Placido l'uomo che si voleva addentrare in tutti i problemi, avevano visto che aveva già mano all'amministrazione comunale, che andavano sempre da lui per consigli. Avevano visto che questo era portato, diciamo così, era ben voluto dalla massa. Si sapeva già che la sezione socialista lo aveva indicato come candidato alle elezioni dell'Assemblea regionale, ma lui non ha accettato assolutamente perchè non si sentiva all'altezza di legiferare, e diceva: <<Ma che io devo andare là a quariare la seggia, a scaldare la sedia?>>. La mafia aveva visto tutte queste cose, lo conosceva come persona scaltra e come uno di dentro che esce fuori, come il cane che porta l'osso fuori di casa propria, come dire che nella qualità di figlio di suo padre era addentrato nelle segrete cose, e vedeva che era effettivamente pericoloso per loro. 
Poi hanno avuto la prova che questo diceva e faceva sul serio [...]
Lui non colpiva direttamente le persone, ma tentava di svuotare la mafia prendendogli le terre.
Gli volevo bene perchè era leale. Tutto quello che faceva non lo faceva mai per artificio, o per secondi fini. Poi perchè era molto affezionato: era una persona molto seria, e qualsiasi favore poteva fare era sempre pronto.
[...] Placido pensava che gli uomini insieme avrebbero potuto e prodotto di più. Per questo incitava tutti a raggrupparsi in cooperative. In un paese come questo, dove ciascuno tiene presente la scopetta, la persona armata che può fargli del male, ha particolare valore il detto <<l'unione fa la forza>>.
[...] Placido si era accorto che tutto, in questo ristagno, andava in putrefazione. Qui è come acqua ferma: quando nasce la palude, le cose marciscono, germogliano gli insetti e nasce l'epidemia. E il marcio inquina tutto. Lui diceva: <<Non credo che dovremo restare sempre bestie, qua; arriverà poi il tempo in cui la gente apre gli occhi>>. Lui insomma voleva il movimento, lo sviluppo, questa era la sua azione. Non posso darne un giudizio: lui è morto e se è morto ha sbagliato, mi viene da dire, da un lato affettivo. Se giudico però da un altro lato, l'ideale di Placido era ammirevole, perchè lui operava con tutto il cuore nell'interesse di tutta l'umanità. <<Ma alla fine è morto>>, mi viene ancora da dire, <<la verità è che l'hanno ammazzato>>. Avevano pensato di buttarlo là dentro, nella fossa di Roccabusambra, perchè così scomparisse ogni traccia, i corvi non potevano sentirne la puzza e volarci sopra, perchè era troppo fonda. E avevano pensato di non ucciderlo in paese, per non fare nascere una reazione forte. Così la cosa rimaneva in dubbio.
L'insegnamento c'è stato. La Camera del lavoro ha avuto uno scossone ma si è rifatta più forte di prima che ci fosse Placido, molto più forte. Ma come frutto? Non abbiamo ottenuto niente. La gente si è sgretolata, non ci ha seguito più. Quel povero ragazzo perchè è morto? Forse penso così per egoismo perchè eravamo amici? Non lo so. Se i contadini che seguivano Placido avrebbero preso una pietra di cento grammi l'uno, li avrebbero annientati questi quattro mafiosi, ma non l'hanno fatto. Quando l'ammazzarono scomparvero tutti: prima ci piaceva però, quando lui combatteva per gli elenchi anagrafici, quando c'era da avere assistenza, nel difenderli nella ripartizione del prodotto: allora si correva tutti dietro Placido. E non è che lui andasse avanti senza curarsi di formare gli altri: li faceva parlare tutti, e se c'era qualcuno che non partecipava lo invitava, lo sollecitava. Mai voleva operare di testa sua: prima voleva sentire il pensiero che usciva dall'incontro di tutti.
Questo è il mio punto di vista. Ma d'altra parte so che è sbagliato. Perchè so che senza gente così non ci sarà nessuno sviluppo. Non lo so. So che gli volevo bene. Muoiono i bambini e se uno si muove per cambiare le cose, ammazzano lui pure. Come dobbiamo fare? Se una parte del corpo è malato, è tutto l'organismo che va curato, è il sangue sano che circola che guarisce il male. Non si può pretendere che proprio la parte malata si guarisca da sola"

Ludovico Benigno (amico di Placido Rizzotto), racconto raccolto da Danilo Dolci e trascritto fedelmente in "Spreco. Documenti e inchieste su alcuni aspetti dello spreco nella Sicilia occidentale", opera dello stesso Dolci pubblicata dall'editore Einaudi nel 1960.
Benigno venne poi arrestato il 16 febbraio 1965, scarcerato il 20 agosto successivo, nuovamente arrestato il 1° luglio 1966 e messo in libertà provvisoria il 19 dicembre 1968. Fu rinviato a giudizio il 14 agosto 1965, imputato - insieme a personaggi come Luciano Leggio, Bernardo Provenzano, Totò Riina e Leoluca Bagarella - del reato di associazione per delinquere aggravata dallo scorrere in armi le campagne e le pubbliche vie, contestato fino al maggio del 1964. Secondo i rapporti di polizia, infatti, Ludovico Benigno - nipote di Leoluchina Sorisi, nella cui abitazione aveva trovato asilo Luciano Leggio - era uno dei dirigenti della cosca mafiosa dello stesso Leggio e aveva probabilmente procurato a costui una carta d'identità falsa quando era impiegato presso il Comune di Corleone (cioè fino al 1960). Per gli inquirenti si era sempre adoperato per una più efficace strutturazione del sodalizio criminale ed era persino gravemente indiziato per l'omicidio dell'amico Placido Rizzotto. Infine essi avevano giudicato rilevante un viaggio che lo stesso Benigno aveva compiuto negli Stati Uniti poco tempo prima che Leggio venisse catturato. Prima la Corte di Assise di Bari (sentenza n. 67/69 emessa il 10 giugno 1969 e depositata il 24 dicembre dello stesso anno relativa al procedimento penale a carico di Leggio Luciano + 63 coimputati), poi la Corte di Assise di Appello di Bari (sentenza n. 42/70 emessa il 23 dicembre 1970) assolsero Benigno con formula piena "per non aver commesso il fatto". Secondo i giudici, infatti, le accuse mosse all'imputato non erano suffragate da alcuna prova. L'indicazione di Benigno quale esponente mafioso di rilievo, fornita dagli organi di polizia, non aveva trovato conferma a causa dell'estrema genericità dei riferimenti accusatori. Constatata, dunque, l'assoluta mancanza di prove, il collegio d'appello qualificò la presunta partecipazione di Benigno all'omicidio di Placido Rizzotto come una congettura senza alcuna validità.




"E' questo un delitto la cui causale va esclusivamente ricercata nella volontà di stroncare il movimento dei contadini che lottano per la applicazione della legge, per l'assegnazione delle terre incolte. Placido Rizzotto è stato uccisoi perchè si era messo alla testa dei lavoratori, perchè la sua attività tendeva a menomare il privilegio dei gabelloti parassiti. E furono appunto tre gabelloti, Leggio, Criscione e Collura, interessati al feudo Drago che era stato concesso ai contadini, a uccidere il segretario della CdL [Camera del Lavoro, N.d.A.] Rizzotto. Con questo orribile delitto i mafiosi tendevano ad ammonire tutti coloro che avessero osato seguire l'esempio del segretario della CdL"

Requisitoria del pm Dell’Aira pronunciata il 19 dicembre 1952 di fronte alla Corte d’Assise di Palermo, al termine del processo - celebrato nella chiesa sconsacrata delle Vergini - che vede imputati Luciano Leggio, Pasquale Criscione e Vincenzo Collura quali assassini di Placido RizzottoLe parole del pubblico ministero sono citate nell'articolo intitolato "Il P.M. chiede l'ergastolo per gli assassini di Rizzotto" e pubblicato su "l'Unità" del 20 dicembre 1952.
Il 30 dicembre successivo la Corte assolve i tre imputati per insufficienza di prove.




"Placido Rizzotto era un sindacalista pazzo, pazzo alla maniera nobile del termine, il quale si illudeva negli anni ’40-’50 di poter redimere i poveri di Corleone e come un pazzo andava all'occupazione delle terre con delle bandiere tricolori, delle bandiere rosse guidando folle di contadini affamati per l’occupazione del latifondo. Evidentemente era un uomo che dava molto fastidio al potere, alla proprietà, al padrone perché in effetti espropriava le terre sia pure poi abbandonandole, costretto ad abbandonarle perché non c’era acqua, non c’erano strumenti di lavoro, non c’erano case. Però era un uomo che gettava il seme della rivolta in un luogo, in una terra, in un territorio dell’isola che era stato sempre tradizionalmente dominato dalla mafia. […] Finchè un giorno Placido Rizzotto scomparve. Placido Rizzotto è uno degli eroi dimenticati. Io qui vorrei fare una piccola parentesi e ti chiedo scusa ancora. Io vorrei che gli italiani sapessero che non è vero che i siciliani sono mafiosi. I siciliani lottano da trenta secoli contro la mafia, lottano alla loro maniera naturalmente. Il fatto è che tutti gli uomini che sono caduti negli ultimi tre o quattro anni sono tutti siciliani. Gli eroi della lotta contro la mafia sono tutti siciliani con l’esclusione del dalla Chiesa soltanto, il quale tutto sommato era anche lui un siciliano perché era stato a comandare i carabinieri di Palermo per tanto tempo. Ecco Placido Rizzotto era uno di questi eroi siciliani che spesso vengono dimenticati dall’opinione pubblica italiana. Placido Rizzotto scomparve e morì come credo nessuno sia morto, nel modo più orrendo possibile. Venne precipitato in fondo a una spelonca del monte Busambra, un precipizio, una voragine di 300-400 metri e ritrovato dopo due anni. Venne precipitato giù vivo e incatenato, cioè morì di fame e divorato dalle bestie della campagna"

Giuseppe Fava, intervista rilasciata a Enzo Biagi in una puntata della trasmissione "Film story" dal titolo "Mafia e camorra", registrata il 28 dicembre 1983 e andata in onda il giorno seguente su Rete4, in coproduzione con TSI - Televisione Svizzera di lingua Italiana.


Placido Rizzotto

Placido Rizzotto è morto e continuerà ad esserlo se noi non ne facciamo vivere le passioni e gli ideali nelle nostre piccole e grandi esperienze.
Sfrattiamo dalle nostre menti l'indifferenza.
Scacciamo l'ignavia dai nostri cuori.
Impegniamoci, dunque!
Facciamo vivere Placido attraverso le nostre azioni, le nostre parole e i nostri pensieri quotidiani.
Dimostriamo concretamente e senza ipocrisie che lui vive - davvero - con noi e dentro di noi.
Facciamone memoria piena, autentica, pratica.
Evitiamo di mettere in atto la solita, stucchevole, retorica messa in scena utile solo a farci credere - illusi - che la nostra coscienza sia a posto.
Come oggi è il giorno in cui un bimbo di nome Placido è sbocciato alla vita, così il testamento morale che questi ci ha lasciato sbocci nella mente e nel cuore di ognuno di noi.
Già, perchè adesso tocca a noi.
Soltanto a noi.

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