domenica 14 dicembre 2014

CHI ERA QUELL'UOMO? 

"[...] abbiamo ancora bisogno di esempi che ci ricordino 
nella normalità del quotidiano
che possiamo contribuire a cambiare le cose,
che possiamo non cedere allo sconforto,
che possiamo continuare a volerci impegnare,
che possiamo essere più forti dell’isolamento,
più forti delle minacce,
più forti dei tentativi di corruzione,
più forti della paura di morire.
Sono persone come noi,
sono stati capaci di scelte
Giorgio Ambrosoli 
delle quali anche noi possiamo essere capaci.
Questo - e da tanti anni è così - per il nostro Paese
è un momento in cui invece
si pensa sempre che
debba essere qualcun altro
a risolvere i problemi
ed è molto diffuso
il disimpegno.
E’ vero che è molto diffuso anche l’impegno,
però un sentimento collettivo 
non è certamente
quello di impegno,
come sentimento manifestato.
E’ la lamentela,
è la rassegnazione,
è l’idea che
nulla possa cambiare.
[...] protagonista di
questa storia è
l’assunzione di responsabilità da parte di molti:
mio padre, i suoi collaboratori.
Persone che hanno voluto
far esplodere le potenzialità della loro
responsabilità,
di quella della loro vita
e hanno avuto la capacità di farlo
davanti a delle difficoltà con le quali
nessuno di noi nella quotidianità si confronta.
Ma caspita!
Se son stati capaci di farlo loro davanti a quelle difficoltà,
noi ci vogliamo arrendere davanti a molto meno?"

Umberto Ambrosoli (figlio di Giorgio),


In un libro del 2009 Umberto Ambrosoli ha raccontato la storia del padre Giorgio, "un eroe borghese assassinato dalla mafia politica" (secondo la definizione di Corrado Stajano). Il titolo - "Qualunque cosa succeda" - è tratto dalla lettera che il commissario liquidatore della Banca privata italiana di Michele Sindona scrisse alla moglie Anna il 25 febbraio 1975:

"Qualunque cosa succeda, comunque, tu sai che cosa devi fare e sono certo saprai fare benissimo. Dovrai tu allevare i ragazzi e crescerli nel rispetto di quei valori nei quali noi abbiamo creduto […] Abbiano coscienza dei loro doveri verso se stessi, verso la famiglia nel senso trascendente che io ho, verso il paese, si chiami Italia o si chiami Europa".


Il libro di Corrado Stajano (1991)


Il libro di Umberto Ambrosoli (2009)




















Come molti sapranno, lunedì 1 e martedì 2 dicembre Rai1 ha trasmesso in prima serata una fiction tratta proprio dall'omonimo volume pubblicato cinque anni fa
I giornalisti della Rai sono quindi stati "costretti" a parlare di quell'avvocato milanese fedele alle Istituzioni, guarda caso proprio quando vigeva l'esigenza di pubblicizzare la relativa miniserie televisiva (auto)prodotta dalla ditta.
Che tristezza!
In ogni caso, è un vero peccato che si siano "dimenticati" di raccontare il ruolo che l'allora Presidente del Consiglio, il mafioso Giulio Andreotti, ebbe nella vicenda Ambrosoli. 
Infatti gli unici riferimenti pubblicati sul sito internet di RaiNews sono i seguenti:

- "Andreotti compare anche nella fiction, interpretato da Giovanni Esposito, così come altri protagonisti di allora";

- "ci sono i cinque anni delle indagini sull'impero del banchiere siciliano che si era rifugiato negli Usa, i viaggi dell'avvocato tra Milano, Roma e New York, il ruolo di Bankitalia e di Enrico Cuccia, quello di Giulio Andreotti, del Vaticano e della politica";

- "un racconto che si chiude con le dichiarazioni di Giulio Andreotti, che lo definì uno <<che se l'andava cercando>>".

Addirittura, nella breve biografia dell'"eroe borghese" Andreotti non viene nemmeno citato.

Ma niente paura, ci ha pensato "NEWSRai", il notiziario della tv di Stato: per ben due volte (qualora non fosse chiaro) ha fornito una sola, fondamentale informazione sul criminale democristiano: nella fiction il suo ruolo è interpretato da Giovanni Esposito!
Più che "notiziario" dovrebbero chiamarlo "censurario".  
D'altra parte lo scrisse già Manzoni nel capitolo XXV de "I Promessi Sposi": "il coraggio, uno non se lo può dare".

Bisogna dunque rimediare.

Imputato dei reati di associazione per delinquere (fino al 28 settembre 1982) e di associazione mafiosa (a partire dal giorno successivo, ovvero dall'entrata in vigore della legge Rognoni-La Torre che ha istituito la nuova fattispecie delittuosa), in primo grado Andreotti è stato assolto con formula dubitativa, a causa di "un quadro probatorio caratterizzato complessivamente da contraddittorietà, insufficienza e, in alcuni casi, mancanza delle prove"Tuttavia nelle motivazioni della sentenza del 23 ottobre 1999 (depositate il 16 maggio 2000) i giudici della V Sezione Penale del Tribunale di Palermo hanno scritto: 

"Nella notte dell’11 luglio 1979 l'avv. Ambrosoli fu ucciso a Milano da Willam Arico, che era stato incaricato di commettere tale delitto dal Sindona. Per quest’ultimo, il movente dell’assassinio era rappresentato [...] dai suoi sentimenti di odio e di vendetta verso la vittima, dal suo interesse a rimuovere un ostacolo, altrimenti non superabile, alla realizzazione dei suoi progetti di salvataggio ed alla conclusione indolore delle sue procedure giudiziarie, e dal suo proposito di terrorizzare il dott. Cuccia al punto di costringerlo a piegarsi al suo volere. L'avv. Ambrosoli pagò, dunque, con la vita la sua fedeltà allo Stato ed il suo rigoroso impegno per perseguire l’interesse pubblico nell'esercizio dell’incarico affidatogli.
[…]
E’ emerso inequivocabilmente che Michele Sindona considerava il sen. Andreotti un importantissimo punto di riferimento politico, cui potevano essere rivolte le proprie istanze attinenti alla sistemazione della Banca Privata Italiana ed ai procedimenti penali che il finanziere siciliano doveva affrontare in Italia e negli U.S.A.. A questo atteggiamento del Sindona, fece riscontro un continuativo interessamento del sen. Andreotti, proprio in un periodo in cui egli ricopriva importantissime cariche governative.
Numerosi furono i contatti intercorsi tra l’imputato ed una pluralità di persone che si rivolgevano a lui per rappresentargli le istanze del Sindona e nel corso dei colloqui con costoro, il sen. Andreotti, oltre a manifestare in via generale un vivo interesse per la situazione del Sindona, non di rado assicurò agli interlocutori (Federici, Guarino, Rao, Guzzi) il proprio attivo impegno per agevolare la soluzione dei suoi problemi di ordine economico-finanziario e di ordine giudiziario.
Il sen. Andreotti, inoltre, realizzò alcuni specifici comportamenti che apparivano concretamente idonei ex ante ad avvantaggiare il Sindona nel suo disegno di sottrarsi alle conseguenze delle proprie condotte, ed inequivocabilmente rivolti a questo fine: il sostegno alla nomina del dott. Mario Barone a terzo amministratore delegato del Banco di Roma, ed il conferimento al sen. Stammati ed all'on. Evangelisti dell’incarico di esaminare il secondo progetto di sistemazione della Banca Privata Italiana.
Sulla base degli elementi di prova acquisiti e’ stato provato dunque che:

1. il sen. Andreotti adottò reiteratamente iniziative idonee ad agevolare la realizzazione degli interessi del Sindona nel periodo successivo al 1973;

2. tra tali iniziative, assunsero particolare rilevanza – anche se non conseguirono il risultato voluto - quelle aventi come destinatari finali i vertici della Banca d’Italia ed il Commissario liquidatore della Banca Privata Italiana, i quali si opponevano ai progetti di “sistemazione”; va in particolare sottolineato che, se gli interessi del Sindona non prevalsero, ciò dipese, in larga misura, dal senso del dovere, dall'onestà e dal coraggio dell'avv. Giorgio Ambrosoli, il quale fu ucciso, su mandato del Sindona, proprio a causa della sua ferma opposizione ai progetti di salvataggio elaborati dall'entourage del finanziere siciliano, a favore dei quali, invece, si mobilitarono il sen. Andreotti, taluni altri esponenti politici, ambienti mafiosi e rappresentanti della loggia massonica P2;

3. il significato essenziale dell’intervento spiegato dal sen. Andreotti (anche se non le specifiche modalità con le quali esso si era realizzato) era conosciuto dai referenti mafiosi del Sindona.

[…]

Rimane […] il fatto che l’imputato, anche nel periodo in cui rivestiva le cariche di Ministro e di Presidente del Consiglio dei Ministri della Repubblica Italiana, si adoperò […] in favore del Sindona, nei cui confronti l’Autorità Giudiziaria italiana aveva emesso sin dal 24 ottobre 1974 un ordine di cattura per il reato di bancarotta fraudolenta".

Prima la Corte d'Appello di Palermo (sez. I penale, sentenza del 2 maggio 2003; motivazioni depositate il 25 luglio 2003), poi la Cassazione (sez. II penale, sentenza n. 49691 del 15 ottobre 2004; motivazioni depositate il 28 dicembre 2004) hanno certificato la "mafiosità" di Andreotti fino alla primavera del 1980, ribadendo per il periodo successivo l'assoluzione con formula dubitativa.
Ciò significa che mentre Sindona faceva uccidere Ambrosoli, il suo amichetto della Dc non solo guidava il connivente governo italiano, ma allo stesso tempo partecipava a quell'associazione criminale denominata "Cosa Nostra". 

Se ciò non bastasse, si può far riferimento alla sentenza emessa il 17 novembre 2002 dalla Corte d'Assise di Appello di Perugia, nelle cui motivazioni - depositate il 13 febbraio 2003 - si legge: 

"Sindona affida la sua reazione non a strumenti legali, ma ad iniziative criminali, estrinsecatesi nelle pressioni rivolte nei confronti del liquidatore, Giorgio Ambrosoli, il quale, fra la fine del dicembre 1978 ed i primi del gennaio 1979, riceve la prima telefonata di minaccia da parte di <<un picciotto>>, che successivamente si scoprirà essere Giacomino Vitale, cognato di Bontate; ne riceverà, fra il 9 ed il 12 gennaio, altre quattro, nelle quali si fa presente ad Ambrosoli che Andreotti ha attribuito a lui tutta la responsabilità della mancata conclusione della vicenda Sindona; il 14.7.1979 sarà ucciso [in realtà Giorgio Ambrosoli è stato ucciso l'11 luglio 1979, N.d.A.].
[…]
Quindi, anche dopo avere saputo, per bocca dello stesso difensore di Sindona, delle minacce fatte pervenire da costui a Giorgio Ambrosoli e, quantomeno,attraverso la stampa, delle intimidazioni di cui era stato oggetto Enrico Cuccia, e non potendo, dunque, ignorare con che <<razza di personaggio>> avesse a che fare, tuttavia Giulio Andreotti continuò ad intercedere in favore di Sindona, mentre altri, come Mario Sarcinelli, all'epoca capo del settore vigilanza della Banca d’Italia, si rifiutavano, addirittura, di ricevere l’avvocato Guzzi facendogli sapere, per mezzo della segretaria, che <<mai avrebbe ricevuto il difensore o il legale di un fallito, di un bancarottiere>>".

Con questa pronuncia l'ex Presidente del Consiglio è stato condannato a 24 anni di reclusione e all'interdizione perpetua dai pubblici uffici come mandante dell’omicidio del giornalista Carmine Pecorelli, avvenuto nemmeno quattro mesi prima dell'uccisione di Ambrosoli (il 20 marzo 1979). 
Poi il 30 ottobre 2003 le Sezioni Unite Penali della Cassazione hanno assolto l'imputato con formula piena "per non avere commesso il fatto"spiegando che la condanna si fondava esclusivamente su dichiarazioni di Buscetta rimaste senza riscontri. La ragione del proscioglimento risiede nella mancanza di prove circa l'esistenza di un mandato a uccidere da parte del premier di allora (motivazioni della sentenza depositate il 24 novembre 2003). 

Tutto molto chiaro, evidentemente troppo per i giornalisti del "servizio pubblico". 

Un dubbio tuttavia permane, sollevato involontariamente da Pierfrancesco Favino, l'attore protagonista della fiction di Rai1: "Dopo aver visto questa serie credo che tanti ragazzi si chiederanno non solo chi era Ambrosoli, ma chi era quell'uomo che l'ha definito <<una persona che se l'andava a cercare>>".

A chiederselo sono anche gli abbonati della Rai. 




P.S. Chi è dunque l'autore misterioso della definizione citata da Favino?
E chi può essere, se non uno dei protagonisti della vicenda, il vecchio Giulio Andreotti?
Al minuto 62:22 del documentario di Alberto Puoti "Qualunque cosa succeda. Storia di Giorgio Ambrosoli", trasmesso su Rai2 il 9 settembre 2010 alle 23.50 in una puntata de "La Storia siamo noi", all'anziano senatore a vita viene posta una domanda:
<<Secondo Lei, perchè Ambrosoli è stato ucciso?>>.
Il mafioso travestito da statista risponde: 
<<Questo è molto difficile, io non voglio sostituirmi né alla polizia, né ai giudici, certo era una persona che in termini romaneschi - io direi - se l’andava cercando>>
Ambrosoli non poteva ricevere complimento migliore.

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