mercoledì 1 ottobre 2014

PRESIDENTE, NON SI VERGOGNA (ANCORA)?


Gentile Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano (meglio noto come Re Giorgio),
torno a scriverLe dopo quasi sette mesi dall'ultima volta.
Ho saputo che il suo deprecabile tentativo di non rendere testimonianza nel processo sulla trattativa Stato-mafia è miseramente fallito.
Purtroppo per Lei - ma per la fortuna di chi pretende giustizia e verità - la Corte d'Assise di Palermo (presidente Alfredo Montalto, giudice a latere Stefania Brambille) ha stabilito una volta per tutte che sì, Lei dovrà deporre. Se ne dovrà fare una ragione: il suo intervento non è nè "superfluo" (come Lei invece riteneva, invocando l'art. 495 c. 4 c.p.p. nella lettera firmata di suo pugno il 31 ottobre 2013 e inviata al presidente Montalto affinchè revocasse l'ammissione della sua deposizione), nè "irrilevante". 
Non essendo quindi riuscito a svignarsela da quei magistrati che cercano di fare piena luce sull'infame trattativa intercorsa tra lo Stato e Cosa Nostra, immagino stia vivendo un momento di profonda amarezza e preoccupazione, anche se fornire il proprio contributo all'accertamento della verità dovrebbe essere motivo di grande orgoglio.
A meno che - si capisce - non si abbia qualcosa da nascondere.
Come si può altrimenti spiegare la sua ostinata ritrosia dapprima a rivelare le sue conversazioni telefoniche con Nicola Mancino (imputato per falsa testimonianza proprio nel procedimento penale nel quale Lei dovrà prossimamente testimoniare) e poi a deporre in uno dei processi più importanti della storia d'Italia?
Che cosa non dobbiamo sapere, signor Presidente? 
Che cosa vuole occultare? 
Ha qualche inconfessabile scheletro nell'armadio? 
Come raccontato da Giorgio Bocca nell'editoriale "Il silenzio sulla mafia" pubblicato su "la Repubblica" il 22 maggio 2002, alla domanda "Che rapporto c'è tra politica e mafia?" Paolo Borsellino rispose: "Sono due poteri che vivono sul controllo dello stesso territorio: o si fanno la guerra o si mettono d'accordo".
C'entra allora il fatto che la trattativa con la mafia non riguarda solo il passato, ma anche il presente?
Ha ragione Salvatore Borsellino, fratello di Paolo, quando sostiene che Lei sia "il garante della trattativa Stato-mafia"?


In ogni modo, in occasione dell'importante (anche se non per Lei) disposizione della Corte palermitana, voglio omaggiarLa con le parole di Lea Garofalo, la giovane testimone di giustizia di cui Le avevo fatto cenno nella mia lettera precedente:

"Signor presidente della Repubblica, chi le scrive è una giovane madre, disperata, allo stremo di tutte le proprie forze, psichiche e mentali in quanto quotidianamente torturata da anni dall'assoluta mancanza di adeguata tutela da parte di taluni liberi professionisti, quali il mio attuale legale che si dice disponibile a tutelarmi e di fatto non risponde neanche alle mie telefonate. Siamo da circa 7 anni in un programma di protezione provvisorio in casi normali la provvisorietà dura all'incirca 1 anno, in questo caso si è oltrepassato ogni tempo e, permettetemi, ogni limite, in quanto quotidianamente vengono violati i nostri diritti fondamentali sanciti dalle leggi europee. Il legale assegnatomi dopo avermi fatto figurare come collaboratrice, termine senza che mai e dico mai ho commesso alcun reato in vita mia. Sono una donna che si è presa sempre le proprie responsabilità e che da tempo ha deciso di rompere ogni tipo di legame con la propria famiglia e con il convivente. Cercando di riniziare una vita all'insegna della legalità e della giustizia con mia figlia. Dopo numerose minacce psichiche, verbali e mentali, decido di denunciare tutti. Vengo ascoltata da un magistrato dopo un mese dalle mie dichiarazioni in presenza di un maresciallo e di un legale assegnatomi, mi dissero che bisognava aspettare di trovare un magistrato che non fosse corrotto dopo oltre un mese passato scappando di città in città per ovvie paure e con una figlia piccola, i carabinieri ci condussero alla procura della Repubblica di C. e li fui sentita in presenza di un avvocato assegnatomi dalla stessa procura. Questi mi comunicarono di figurare come collaboratore, premetto di non avere nessuna conoscenza giuridica, pertanto il termine di collaboratore per una persona ignorante, era corretto in quanto stavo collaborando al fine di far arrestare dei criminali mafiosi. Dopo circa tre anni il mio caso passa ad un altro magistrato e da lui appresi di essere stata maltutelata dal mio legale. Oggi mi ritrovo, assieme a mia figlia isolata da tutto e da tutti, ho perso tutto, la mia famiglia, ho perso il mio lavoro (anche se precario) ho perso la casa, ho perso i miei innumerevoli amici, ho perso ogni aspettativa di futuro,ma questo lo avevo messo in conto, sapevo a cosa andavo incontro facendo una scelta simile. Quello che non avevo messo in conto e che assolutamente non immaginavo, e non solo perché sono una povera ignorante con a mala pena un attestato di licenza media inferiore, ma perché pensavo sinceramente che denunciare fosse l'unico modo per porre fine agli innumerevoli soprusi e probabilmente a far tornare sui propri passi qualche povero disgraziato sinceramente, non so neanche da dove mi viene questo spirito, o forse sì, visti i tristi precedenti di cause perse ingiustamente da parte dei miei familiari onestissimi! Gente che si è venduta pure la casa dove abitava, per pagare gli avvocati e soprattutto, per perseguire un'idea di giustizia che non c'è mai stata, anzi tutt'altro! Oggi e dopo tutti i precedenti, mi chiedo ancora come ho potuto, anche solo pensare che in Italia possa realmente esistere qualcosa di simile alla giustizia, soprattutto dopo precedenti disastrosi come quelli vissuti in prima persona dai miei familiari. Eppure sarà che la storia si ripete o che la genetica non cambia, ho ripetuto e sto ripetendo passo dopo passo quello che nella mia famiglia è già successo, e sa qual è la cosa peggiore? La cosa peggiore è che conosco già il destino che mi aspetta, dopo essere stata colpita negli interessi materiali e affettivi arriverà la morte! Inaspettata indegna e inesorabile e soprattutto senza alcuna soddisfazione per qualche mio familiare è stata anche abbastanza naturale se così di può dire, di una persona che muore perché annega i propri dolori nell'alcol per dimenticare un figlio che è stata ucciso per essersi rifiutato di sottostare ai ricatti di qualche mafioso di turno. Per qualcun altro è stato certamente più atroce di quanto si possa immaginare lentamente, perché questo visti i risultati precedenti negativi si è fatto giustizia da solo e, si sa, quando si entra in certi circoli viziosi difficilmente se ne esce indenni tutto questo perché le istituzioni hanno fatto orecchie da mercante! Ora con questa mia lettera vorrei presuntuosamente, cambiare il corso della mia triste storia perché non voglio assolutamente che un giorno qualcuno possa sentirsi autorizzato a fare ciò che deve fare la legge e quindi sacrificare se pur per una giustissima causa la propria vita e quella dei propri cari per perseguire un'idea di giustizia che tale non è più, nel momento in cui ce la si fa da soli e, con metodi diciamo così spicci. Vorrei Signor Presidente, che con questa mia richiesta di aiuto, lei rispondesse alle decine, se non centinaia di persone oltre a me che oggi si trovano nella mia stessa situazione. Ora non so, sinceramente, quanti di noi non abbiano mai commesso alcun reato e, dopo aver denunciato diversi atti criminali, si sono ritrovati catalogati come collaboratori di giustizia e quindi appartenenti a quella nota fascia di infami, così comunemente chiamati in Italia, piuttosto che testimoni di atti criminali, perché le posso assicurare, in quanto vissuto personalmente che esistono persone che nonostante essere in mezzo a situazioni del genere riescono a non farsi compromettere in nessun modo e ad aver saputo dare dignità e speranza oltre che giustizia alla loro esistenza. Lei oggi, signor presidente, può cambiare il corso della storia, se vuole può aiutare chi, non si sa bene perché, o come, riesce ancora a credere che anche in questo paese vivere giustamente si può, nonostante tutto! La prego signor presidente ci dia un segnale di speranza, non attendiamo che quello, e a chi si intende di diritto civile e penale, anche voi aiutate chi è in difficoltà ingiustamente! Personalmente non credo che esiste chissà chi o chissà cosa, però credo nella volontà delle persone, perché l'ho sperimentata personalmente e non solo per cui, se qualche avvocato legge questo articolo e volesse perseguire un'idea di giustizia accontentandosi della retribuzione del patrocinio gratuito e avendo in cambio tante soddisfazioni e una immensa gratitudine da parte di una giovane madre che crede ancora in qualcosa di vagamente reale, oggi giorno in questo paese si faccia avanti, ho bisogno di aiuto, qualcuno ci aiuti. Please!
Una giovane madre disperata".

Si tratta della lettera aperta a Lei rivolta che Lea Garofalo scrisse e inviò nell'aprile 2009 ad alcuni giornali nazionali. Purtroppo - e chissà come mai - sarebbe stata pubblicata solo il 2 dicembre 2010 da "il Quotidiano della Calabria". 
Come avrà notato, mi sono premurato di evidenziare in grassetto e sottolineare le parole che avrebbero dovuto e dovrebbero farLa riflettere maggiormente. Invece Lei - la persona che ricopre la più alta carica istituzionale - le ha tradite.
Perchè ha voluto uccidere per la seconda volta Lea Garofalo?
Perchè ha voluto dare un esempio così negativo?
Perchè ha voluto contribuire a rendere ancora più soli e isolati quei cittadini che per aver reso alla legalità e alla giustizia un servizio determinante si ritrovano - tutti - a dover patire sofferenze incredibili perchè scartati da uno Stato che non li merita?
Non si vergogna (ancora), signor Presidente della Repubblica?

Sempre non devotamente suo,

Danilo Rota

Lea Garofalo - Testimone di giustizia


Giorgio Napolitano - Reticente della Repubblica

P.S. Voglio infine rivolgermi ai cosiddetti "giornalisti" che ricevettero la lettera di Lea Garofalo nell'aprile 2009 e decisero di non pubblicarla. 
Dedico a voi alcune righe di un editoriale di Giuseppe Fava intitolato "Lo spirito di un giornale", pubblicato l'11 ottobre 1981 su "Il Giornale del Sud" (quotidiano di cui Fava era direttore):       

"Io ho un concetto etico del giornalismo. Ritengo infatti che in una società democratica e libera quale dovrebbe essere quella italiana, il giornalismo rappresenti la forza essenziale della società. Un giornalismo fatto di verità impedisce molte corruzioni, frena la violenza, la criminalità, accelera le opere pubbliche indispensabili, pretende il funzionamento dei servizi sociali, tiene continuamente all'erta le forze dell’ordine, sollecita la costante attenzione della giustizia, impone ai politici il buon governo. Se un giornale non è capace di questo, si fa carico anche di vite umane. Persone uccise in sparatorie che si sarebbero potute evitare se la pubblica verità avesse ricacciato indietro i criminali. Ragazzi stroncati da overdose di droga che non sarebbe mai arrivata nelle loro mani se la pubblica verità avesse denunciato l’infame mercato, ammalati che non sarebbero periti se la pubblica verità avesse reso più tempestivo il loro ricovero. Un giornalista incapace – per vigliaccheria o calcolo – della verità si porta sulla coscienza tutti i dolori umani che avrebbe potuto evitare, e le sofferenze, le sopraffazioni, le corruzioni, le violenze che non è stato capace di combattere. Il suo stesso fallimento!".

Se pochi mesi dopo aver inviato ai vostri giornali il suo disperato appello,

Lea Garofalo è stata sequestrata;  
Lea Garofalo è stata massacrata di botte; 
Lea Garofalo è stata strangolata; 
il cadavere di Lea Garofalo è stato rovesciato in un fusto pieno di benzina per essere bruciato; 
i resti di Lea Garofalo sono stati gettati in un tombino, come se si trattasse di spazzatura,

la colpa è anche vostra!


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