giovedì 13 settembre 2012

UNA DENUNCIA (FALSA) E L'IMMIGRATO
DIVENTA IRREGOLARE 


Per far emergere il lavoro irregolare è necessario che il datore di lavoro e il lavoratore si presentino agli uffici dello Sportello Unico per l’immigrazione, dove - dinanzi a un funzionario - sottoscrivano (entrambi) un contratto di soggiorno. 
Tale procedura viene seguita anche da Esmil Mohammad (lavoratore) e Francesca Moro (datrice di lavoro).
Peccato che dopo la stipula del contratto di soggiorno e il rilascio del titolo di soggiorno, l'imprenditrice sporga querela in sede penale, denunciando di non aver mai presentato alcuna domanda di assunzione nei confronti di Esmil Mohammad. 
Solo per questo, con provvedimento del 22 agosto 2011, la Questura di Roma revoca al lavoratore il permesso di soggiorno precedentemente rilasciato. 
Esmil si rivolge quindi al Tar del Lazio, la cui sezione II Quater gli dà pienamente ragione.
Infatti, con la sentenza 19 luglio 2012 n. 6629, i giudici amministrativi annullano il provvedimento della Questura romana dal momento che essa "non poteva basarsi unicamente sulla querela della datrice di lavoro di non aver mai richiesto l’assunzione del ricorrente, la cui veridicità è sconfessata dai documenti".
Poichè la procedura di emersione si era conclusa favorevolmente, ciò è incompatibile con la dichiarazione (palesemente falsa) della datrice di lavoro di non aver mai assunto il ricorrente.
Se un tale elementare, quanto banale principio logico (prima che giuridico) non fosse stato ricordato da un collegio di tre magistrati (al quale - è bene rammentarlo - si era rivolta la vittima della macroscopica ingiustizia), sarebbe passata l'idea per cui basta la denuncia di un imprenditore nei confronti del proprio dipendente extracomunitario per levare a quest'ultimo il permesso di soggiorno, rendendolo irregolare e a rischio espulsione. 
Per fortuna, in Italia, esistono ancora i Tribunali. 

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