domenica 15 luglio 2012



STORIA DI QUATTRO ASSASSINI IN DIVISA

                          Federico Aldrovandi prima e dopo l'incontro con la Polizia

Roma. Giovedì 21 giugno 2012. Ore 19.20. La IV sezione penale della Cassazione conferma in via definitiva le sentenze del Tribunale di Ferrara (6 luglio 2009) e della Corte d'Appello di Bologna (10 giugno 2011) con cui sono stati condannati quattro poliziotti della Questura ferrarese - Paolo Forlani, Monica Segatto, Enzo Pontani e Luca Pollastri - a 3 anni e 6 mesi di carcere per la morte di Federico Aldrovandi.
In attesa di conoscere le motivazioni della Suprema Corte, è possibile rileggere quelle della sentenza di 2° grado - ormai passata in giudicato - che ha reso pregiudicati quattro appartenenti alle forze dell'ordine per eccesso colposo nell’adempimento del dovere (agendo nell'esercizio delle loro funzioni, hanno operato andando oltre i limiti del legittimo intervento) e cooperazione in omicidio colposo (hanno agito con violenza in maniera lesiva dell'integrità fisica di Federico, fino ad averne causato la morte).

Federico Aldrovandi è uno studente di 18 anni, incensurato, di condotta regolare, membro di una famiglia di persone perbene, ben educato, con i problemi esistenziali tipici di ogni diciottenne. All'alba del 25 settembre 2005, reduce da una serata in discoteca trascorsa in compagnia di tre amici, viene lasciato - come da sua richiesta - al punto di ritrovo da cui erano partiti, così da tornare a casa a piedi. Giunto al parco di via Ippodromo a Ferrara, pochi minuti dopo le 6 di mattina subisce una violenta colluttazione fisica con quattro poliziotti, da cui esce senza vita. Mentre Federico è a terra, gli agenti in divisa si rendono responsabili di una numerosa serie di percosse e violenze, del tutto gratuite e ingiustificate: un tremendo colpo ai genitali con un manganello o un calcio, varie lesioni sul corpo (che non hanno alcuna connessione con l'ammanettamento e l'immobilizzazione), trascinamento a terra per i capelli, ferita al capo da ricondurre verosimilmente a un colpo di manganello (con relativo edema cerebrale). Per esplicitare l'intensità, la forza e la violenza del pestaggio messo in atto, il giudice di 1° grado ha dovuto occupare ben 10 pagine, nelle quali descrive le lesioni arrecate ad Aldrovandi nel corso della prolungata e furiosa azione di violenza dei poliziotti, caratterizzata da calci e manganellate e proseguita  anche dopo l'ammanettamento e l'immobilizzazione a terra di Federico. Per di più, postisi intorno al ragazzo, i poliziotti lo tengono bloccato a terra, posizionandosi uno sui piedi, uno sulle cosce, un altro sulla parte superiore e l'ultimo in movimento libero. Insomma, gli si siedono sopra. Federico scalcia, si agita, cerca inutilmente di liberarsi, anche nel tentativo di non soffocare. E giù con le botte, tali da provocare la rottura di due manganelli. Federico, sempre a terra, soffoca sotto il peso di due agenti postisi all'altezza del petto e dello stomaco, subendo infine un colpo fatale al cuore, compresso dalla massa corporea delle guardie.
Ecco dunque come può morire in Italia uno studente di 18 anni: ammanettato, in posizione prona, col viso schiacciato a terra, sanguinante dalla bocca e dal naso, letteralmente schiacciato da uomini delle istituzioni.
L'intervento della polizia - totalmente estraneo a qualunque protocollo di sicurezza - è determinante per la morte di Federico, causata da una prolungata e violenta compressione del torace tale da aver provocato lo schiacciamento del cuore tra le strutture osteo-cartilaginee della colonna vertebrale e dello sterno, seguita dalla rottura di vasi intramiocardici e da due ematomi - contrapposti - sulle pareti anteriore e posteriore del ventricolo sinistro. Il tutto - lo si ripete nuovamente - mentre è a terra, immobilizzato e ammanettato dietro la schiena.

Ora, i giudici sottolineano alcuni aspetti:

- Federico si trovava in una condizione di personale disagio per gli effetti di una serata in discoteca, ma non stava compiendo nulla di illegale, non stava per realizzare alcun delitto, non stava arrecando alcun disturbo o pericolo per la quiete pubblica, nè stava provocando alcuna situazione di allarme sociale dovuta ad atteggiamenti aggressivi. Doveva solo essere calmato e trattato dal punto di vista sanitario, non essendo pericoloso per la sicurezza pubblica ma solo per se stesso;

- Federico era un abituale assuntore di sostanze stupefacenti, ma occasionale e controllato. Era un mero consumatore, senza mai essere entrato nella catena dello spaccio. Tuttavia la storia personale, fisica, morale e clinica di Federico esclude che potesse sfociare in un'abnorme aggressività nei confronti dei poliziotti e che potesse essere portatore di una qualsiasi storia di patologia psichiatrica o legata all'abuso di stupefacenti. Per di più, dagli accertamenti eseguiti e dal confronto tra tossicologi, si evince l'irrilevanza delle sostanze stupefacenti assunte da Federico come fattori diretti di morte o anche solo concausali. Manca persino un qualsivoglia riscontro su possibili effetti di tali sostanze assunte come causa di innesco di una condizione di agitazione delirante. Federico era un soggetto sano, senza scompensi psichiatrici, con minime e modestissime (quasi irrilevanti) quantità di stupefacenti assunte. Non è un caso, allora, se l'agitazione psico-motoria e l'aggressività - ridotta - di Federico abbiano avuto inizio solo a seguito dell'intervento violento e sconsiderato dei poliziotti, essendo cioè solo il frutto delle violenze subìte;

- totalmente infondata e priva di riscontro scientifico (alla luce delle analisi tossicologiche) l’ipotesi della morte per assunzione di stupefacenti. Il dato tossicologico è infatti troppo modesto. Aldrovandi è morto unicamente per la violenta, energica e pesante compressione esercitata dai poliziotti su busto e volto, schiacciati sia manualmente, sia dal peso del corpo di persone sedute o sdraiate sopra il giovane. Federico ha dunque perso la vita solo a causa della condotta colposa e sconsiderata di quattro membri delle forze dell'ordine. La sola lecita conclusione da trarre circa l'assunzione di sostanze stupefacenti da parte di Federico è la seguente: il ragazzo era in uno stato di alterazione e di scarsa lucidità, tale da poter aver causato una reazione abnorme a un eventuale approccio vissuto come arbitrario da parte dei poliziotti;

- le condotte degli imputati sono state negligenti, per aver violato le seguenti regole:

1) lo scontro fisico violento va assunto come extrema ratio in una situazione di straordinaria necessità;
2) vi sono sempre misure alternative, come la richiesta di ausilio da parte di personale sanitario;
3) bisogna usare la forza in maniera proporzionata e graduale, tale da non produrre lesioni o pericoli (salvo casi di necessità e legittima difesa);
4) la situazione non deve sfuggire di mano, trasformando un intervento di polizia in una lotta selvaggia;
5) si può (eventualmente) ricorrere alla violenza solo per scopi difensivi;
6) l'arresto di chi opponga resistenza non giustifica mai uno scontro fisico che metta in pericolo l'incolumità del soggetto. Nei casi ove si profili il rischio di una degenerazione dell'intervento, gli agenti devono limitarsi a circondare e controllare l'individuo, impedendogli di nuocere a sè e agli altri e procedere all'arresto solo quando non ci sia pericolo di violento scontro e la resistenza sia cessata, essendosi il soggetto reso conto di non avere alternative;
7) non esercitare mai pressioni su dorso e tronco per non diminuire la capacità di respirazione;
8) una volta ammanettato, l'individuo non può più considerarsi pericoloso; pertanto deve essere subito rivoltato in posizione supina e aiutato a rialzarsi;
9) il manganello va usato in via eccezionale e solo per scopi difensivi;
10) la tutela dell'incolumità del resistente deve sempre prevalere su ogni altra necessità di minor rilevanza. 

Infatti, i quattro poliziotti:

1) hanno ingaggiato una violenta e cruenta lotta con Aldrovandi, non giustificata dal numero di agenti e dalla mancanza di pericolosità del soggetto (ragazzo giovane senza alcun precedente, inoffensivo, non violento e di indole mite, in ogni caso contenibile con l’impiego difensivo del manganello). La colluttazione sarebbe stata evitata con un approccio dialogico e paziente, con l'intervento dei sanitari, con una tattica attendista che facesse sbollire la rabbia e l’agitazione del ragazzo, chiarendo l’assenza di volontà offensiva e violenta da parte degli agenti, in modo da ridimensionare la frustrazione del ragazzo; 
2) hanno attuato un intervento violento e squilibrato, idoneo ad accrescere la rabbiosa reazione difensiva di Aldrovandi, aggredito e colpito da una grandinata di colpi di manganello. Hanno così innalzato il livello di violenza. Peraltro, va evidenziata una preponderante azione violenta degli agenti rispetto alla resistenza di Federico, in gran parte ascrivibile alla necessità di reagire a una condizione di restrizione asfittica;
3) hanno proceduto all’arresto e all’immobilizzazione nonostante fosse evidente che una tale operazione avrebbe comportato rischi per l’incolumità personale del ragazzo; 
4) hanno sbagliato a valutare:
- le circostanze autorizzanti l’arresto, in una situazione ove non era obbligatorio procedervi;
- la pericolosità del soggetto;
- la gravità della situazione, in gran parte derivante dall’incapacità degli agenti di considerare lo stato di alterazione mentale del ragazzo.
Ciò avrebbe dovuto indurli a trasformare il loro intervento da atto di ordine pubblico ad azione di tutela sanitaria di un soggetto bisognoso di aiuto.
Tali errori sono stati mossi da un pregiudizio nei confronti di Federico, considerato come un nemico da vincere;
5) hanno prolungato la colluttazione per lunghi minuti e praticato in questo lungo arco temporale una serie di atti violenti eccessivi, incongrui e non necessari, concentratisi da ultimo nella violenta, prolungata compressione al suolo di Aldrovandi;
6) non solo non hanno interrotto l’azione nel momento in cui era chiaro che si stesse trasformando in un autentico pestaggio, ma hanno accettato quella violenza gratuita e assolutamente vietata, quasi volessero “punire” Aldrovandi. Hanno pertanto messo in pratica un approccio improntato alla mera repressione con modalità gratuitamente violente volte a sopraffare un avversario;
7) esercitando violente pressioni sul tronco e sul dorso di Federico, hanno creato un pericoloso rischio di asfissia, innescando il meccanismo causale della morte;
8) non hanno eseguito rapidamente l’ammanettamento e non hanno rivoltato il giovane per liberarne il respiro;
9) hanno usato il manganello in maniera offensiva (non difensiva) e sproporzionata, con cinica indifferenza e colpevole imprudenza.

I poliziotti hanno quindi posto in essere per colpa una situazione di rischio e di pericolo evitabili, in contrasto con le buone norme d’azione che avrebbero dovuto attuare, contribuendo così a determinare per colpa l’evento, evidenziando gravi limiti di professionalità e inadeguata preparazione. Sarebbe invece stato loro dovere contenere la violenza e immobilizzare il soggetto senza fargli correre alcun rischio di asfissia o traumi derivanti dal prolungarsi di una lotta;

- Federico non è morto per le lesioni inferte dai poliziotti, poichè nessuna di esse ha inciso sulla morte;

- i quattro poliziotti hanno concordemente messo in atto un comportamento ambiguo, reticente e menzognero per coprire le proprie responsabilità. Fin dalle prime ore successive all’uccisione di Aldrovandi, i responsabili della Questura di Ferrara e gli imputati si sono dedicati a un'attività di falsificazione e distorsione delle prove, nonostante i pubblici ufficiali debbano essere portatori di un ben diverso onere di lealtà e correttezza processuale rispetto ad un imputato “comune”. Non solo non hanno portato alcun contributo di verità, ma hanno messo in pratica una strategia manipolatoria delle prove ordita sin dalle prime ore dell'assassinio;

- nonostante l’incensuratezza sia inevitabilmente dovuta per qualsiasi agente di Polizia e nonostante la  condotta di quattro di loro abbia gettato discredito all'intero corpo di appartenenza, gli assassini di Federico Aldrovandi - Paolo Forlani, Monica Segatto, Enzo Pontani e Luca Pollastri - continuano a mantenere la divisa da poliziotto. Quella stessa divisa che hanno sporcato con il sangue di Federico Aldrovandi, un ragazzo di 18 anni ucciso brutalmente senza un perchè.

P.s. All'indirizzo web http://www.giustiziaperaldro.it/2012/06/29/giustizia-per-aldro/ è possibile firmare un appello per chiedere che i quattro poliziotti assassini vengano estromessi dalla Polizia di Stato, che i condannati in via definitiva siano sempre allontanati dalle forze dell'ordine, che vengano previste modalità di riconoscimento per gli appartenenti alle forze dell'ordine (magari con un numero identificativo sulla divisa o sui caschi) e che sia introdotto nel codice penale italiano il reato di tortura.
Io ho firmato. E voi?

2 commenti:

  1. Ho firmato anche io,naturalmente.Mi manda fuori di testa anche l'idea che 4 pregiudicati,perché tali sono per la legge,siano in servizio e girino armati e possano chiedermi i documenti!!! Ma che stato è quello che permette ad un pregiudicato di avere la facoltà di identificare un comune e onesto cittadino???

    Fiamma Schiavi

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    1. Ringraziandoti molto per aver voluto esprimere il tuo pensiero (che peraltro condivido pienamente), ti invito a manifestare le tue idee su questo blog ogniqualvolta lo desideri.
      Mi farebbe davvero piacere!

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