mercoledì 27 giugno 2012

IL MINISTRO FORNERO E LA COSTITUZIONE


"Tutti - non solo i lavoratori - devono capire e cambiare. Ciò vale anche per i giovani, i quali devono sapere che un lavoro non è qualcosa che si ottiene di diritto, bensì qualcosa che si conquista, per cui si lotta e si possono anche dover fare dei sacrifici".

Elsa Fornero (ministro italiano del lavoro, delle politiche sociali e delle pari opportunità), intervista a The Wall Street Journal, 26 giugno 2012.



"L'Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro.
E' compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese.
La Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendano effettivo questo diritto.
La Repubblica tutela il lavoro in tutte le sue forme ed applicazioni. Cura la formazione e l'elevazione professionale dei lavoratori. Promuove e favorisce gli accordi e le organizzazioni internazionali intesi ad affermare e regolare i diritti del lavoro.
Il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sè e alla famiglia un'esistenza libera e dignitosa.
Il lavoratore ha diritto al riposo settimanale e a ferie annuali retribuite.
La donna lavoratrice ha gli stessi diritti e, a parità di lavoro, le stesse retribuzioni che spettano al lavoratore. Le condizioni di lavoro devono consentire l'adempimento della sua essenziale funzione familiare e assicurare alla madre e al bambino una speciale adeguata protezione.
La Repubblica tutela il lavoro dei minori e garantisce ad essi, a parità di lavoro, il diritto alla parità di retribuzione.
Ogni cittadino inabile al lavoro e sprovvisto dei mezzi necessari per vivere ha diritto al mantenimento e all'assistenza sociale. 
I lavoratori hanno diritto che siano preveduti ed assicurati mezzi adeguati alle loro esigenze di vita in caso di infortunio, malattia, invalidità e vecchiaia, disoccupazione involontaria.
Ai fini dell'elevazione economica e sociale del lavoro in armonia con le esigenze della produzione, la Repubblica riconosce il diritto dei lavoratori a collaborare alla gestione delle aziende.
La Regione non può limitare l'esercizio del diritto al lavoro in qualunque parte del territorio nazionale".

Costituzione della Repubblica italiana, firmata il 27 dicembre 1947 ed entrata in vigore il 1° gennaio 1948.

domenica 17 giugno 2012

NIENTE PRIVILEGI PER L'UNIVERSITA'
DEL PAPA

La Pontificia Università Gregoriana non vuole pagare la Tarsu (la tassa sui rifiuti) al Comune di Roma, ritenendosi esente ai sensi dei Patti Lateranensi del 1929.
Al termine di un'apposita controversia, la sezione tributaria della Cassazione ha dato ragione all'amministrazione capitolina (sentenza 14 marzo 2012, n. 4027): l'esenzione prevista da Mussolini e dal Segretario di Stato vaticano card. Pietro Gasparri riguarda solamente le imposte sui redditi immobiliari, mentre la tassa sui rifiuti è il corrispettivo di un servizio legato alla produzione e al conferimento di spazzatura. Poichè, come qualsiasi altra sede universitaria, anche la Pontificia Università Gregoriana produce immondizia poi raccolta, non c'è alcun motivo per cui possa considerarsi esente. 
Peccato: il tentativo vaticano di appropriarsi ingiustamente di un privilegio - nel caso, evadendo un'imposta dovuta - è saltato. Miracolo!!!
       

venerdì 8 giugno 2012

NAPOLITANO PREMIA UN AMICO DEI MAFIOSI

Ai più il nome di Rosario Monteleone non dice nulla, ma è un personaggio su cui è bene soffermarsi, se non fosse almeno perchè protagonista di una decisione improvvida e scellerata presa dal Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano. 
Nato a Careri (Reggio Calabria) il 19 aprile 1958, ma residente a Genova, Monteleone è stato consigliere comunale della città della Lanterna (dal 1997 al 2000), assessore comunale con deleghe al patrimonio, alle politiche abitative, al demanio, all'igiene e all'artigianato (dal 2000 al 2005), consigliere regionale della Liguria (dal 2005 a oggi), vicepresidente del Consiglio regionale ligure (dal 2005 al 2010) e presidente del medesimo Consiglio (dal 2010 a oggi). Milita nel partito di Pier Ferdinando Casini, l'Udc.
Pur non comparendo nel registro degli indagati, il suo nome viene citato nell'ordinanza di custodia cautelare in carcere emessa il 24 giugno 2011 dal Gip di Genova Nadia Magrini nei confronti di 12 presunti 'ndranghetisti accusati di associazione mafiosa. Il 29 gennaio 2010, a mezzogiorno, Domenico Gangemi (presunto capo della 'ndrangheta genovese) e Domenico Calabrese (presunto suo affiliato mafioso) discutono al telefono dell'appoggio elettorale per un candidato "paesano" in cambio di favori. Trattasi di Aldo Praticò, nato a Reggio Calabria il 28 maggio 1967, dal 2007 al 2012 consigliere comunale di Genova nelle file del Pdl. Ecco una parte del dialogo:
Gangemi: "Al posto di un cane qualsiasi, glielo diamo a un cane dei nostri il voto, che cosa dite voi?"
Calabrese: "Certo, a chi dobbiamo darglielo?"
Gangemi: "Basta che non è il Lardo"
Calabrese: "No, se è per Lardo da me..."
Gangemi: "No, Lardo niente, con Lardo niente da fare, no"
Calabrese: "Lardo deve andare ad ammazzarsi"
Gangemi: "No, questo qua, paesano nostro, è un ragazzo... Logicamente oggi come oggi, al momento, non hanno forza, però se un domani noi gli diamo le forze, può essere che si comporta paesano del tipo che è..."
Calabrese: "Se uno apposta di votare da un'altra parte, votiamo lui"
Gangemi: "Che poi almeno lui lo possiamo andare a prendere dalle orecchie per mandarlo a fanculo come a Lardo".
"Lardo" è il soprannome di Rosario Monteleone (dovuto alla sua imponente stazza fisica), ripudiato dai boss per puntare sul "paesano" Aldo Praticò.
A febbraio dello stesso anno (2010) Arcangelo Condidorio (altro presunto capo delle 'ndrine genovesi) conversa in auto con il figlio Fabio. I due parlano delle elezioni regionali del 28-29 marzo seguente, in particolare della candidatura di Monteleone. Il boss rivela al figlio che non avrebbero appoggiato quest'ultimo, facendo altresì trasparire una certa avversione nei confronti del politico: "Questo adesso l'abbiamo quasi preso a calci nel sedere...". Secondo Condidorio senior, Monteleone aveva avvicinato sia lui, sia Domenico Gangemi (ovvero i due presunti boss a capo della 'ndrangheta genovese) per perfezionare un accordo finalizzato ad acquisire un certo numero di voti. La scelta di non puntare più su Monteleone è verosimilmente dovuta a una mancanza di rispetto del politico Udc nei confronti del boss Gangemi, al quale - dopo le precedenti elezioni - non aveva fatto nemmeno una telefonata di ringraziamento per l'appoggio politico ricevuto. Anzi. Dopo che Gangemi gli aveva detto: "Dobbiamo passare, dobbiamo discutere...", l'ingrato politico aveva risposto: "Qua non c'è da discutere proprio niente". Sempre secondo Condidorio (intercettato), il contributo fornito nelle precedenti elezioni amministrative a Monteleone era stato l'aver fatto sottoscrivere 700 tessere di partito. 
Non è finita.
Nelle carte dell'operazione Crimine, la Procura antimafia di Reggio Calabria ha trascritto le parole rivolte il 4 marzo 2010 (24 giorni prima delle elezioni regionali) da Domenico Belcastro a Giuseppe Commisso (entrambi boss di vertice delle 'ndrine genovesi, arrestati per associazione mafiosa). Riferendosi al boss Domenico Gangemi, afferma: "Ha voluto appoggiare un finanziere, uno sbirro. Cinque anni fa ha detto lui che è sbirro questo qua, un infame... che questo... adesso ha voluto appoggiare a Monteleone lui ... lo potete appoggiare... uno vale l'altro, appoggiamo a Monteleone... adesso questo [lo sbirro, N.d.A.] gli ha promesso un posto di lavoro al genero e voleva appoggiare questo qua".           
Se ciò non bastasse, le indagini eseguite dai carabinieri del Ros di Genova e Reggio Calabria - i cui esiti sono stati redatti in un apposito rapporto consegnato ai magistrati antimafia - hanno consentito di qualificare Rosario Monteleone quale candidato alle elezioni regionali che chiedeva l'appoggio dell'elettorato calabrese rappresentato da Domenico Gangemi, attraverso la mediazione di alcuni intermediari. Secondo i Ros, gli amministratori locali erano perfettamente a conoscenza dell'organizzazione dei clan mafiosi, ai quali si rivolgevano per chiedere i voti. Le 'ndrine si erano così adoperate affinchè i politici amici venissero eletti per poter poi ottenere appalti e altri favori.
Bene, anzi male, perchè con decreto del 27 dicembre 2011, il Capo dello Stato Giorgio Napolitano - su proposta della Presidenza del Consiglio dei Ministri - ha riconosciuto a Rosario Monteleone una prestigiosa onorificenza: l'Ordine al Merito della Repubblica (grado: Cavaliere), di cui l'inquilino del Quirinale è capo. A pensare che tale onorificenza - concessa 6 giorni fa in occasione della festa della Repubblica - premi le benemerenze acquisite verso la Nazione in campo letterario, artistico ed economico, in attività sociali, filantropiche e umanitarie o attraverso lunghi servigi resi nelle carriere civili e militari, vengono non solo i brividi, ma soprattutto una domanda inevitabile da porre a Napolitano: da quando è diventato giusto premiare gli amici dei mafiosi?
Forse Napolitano non conosce (o non ricorda) le parole pronunciate il 19 luglio 2011 - durante la cerimonia di commemorazione della strage di via D'Amelio organizzata dall'Associazione Nazionale Magistrati di Palermo - da Leonardo Guarnotta (Presidente del Tribunale palermitano e membro - insieme a Giovanni Falcone, Paolo Borsellino e Giuseppe Di Lello Finuoli - del pool antimafia guidato da Antonino Caponnetto):
"Sopravvivono personaggi rappresentativi di quel modo di vedere e condurre la vita che, in niente o quasi, si differenzia dalla filosofia della mafia. Personaggi antropologicamente troppo simili ai Riina, ai Bagarella, ai Provenzano e per i quali i valori e le norme sono specchietto per le allodole o, nel migliore dei casi, spunti retorici per discorsi ufficiali.
La società civile non si libererà dalla soffocante non più tollerabile presenza della mafia, antistato nello Stato, che inquina il tessuto socio-economico-imprenditoriale, sino a quando sarà autoindulgente e tollererà facilmente al proprio interno atteggiamenti paternalistici, clientelari, conformistici, conservatori illegali; insomma atteggiamenti mafiosi e paramafiosi. E' necessario dunque che maturi una forte coscienza collettiva dei valori della legalità".

domenica 3 giugno 2012

FUORI I PRETI DALLE MUTANDE!

Martedì 22 maggio 2012 sono state presentate all'Assemblea Generale della Conferenza Episcopale Italiana (Cei) le "Linee guida per i casi di abuso sessuale nei confronti di minori da parte di chierici", approvate dal Consiglio Episcopale Permanente nella sessione del 23-26 gennaio precedenti.
Secondo le intenzioni della Chiesa cattolica italiana, il documento serve a facilitare la corretta applicazione delle norme canoniche e a favorire un corretto inquadramento in relazione alle leggi italiane. Ma che cosa hanno stabilito i vescovi nostrani?
1) il vescovo che riceva una denuncia di abuso sessuale deve ascoltare la giovane vittima e i suoi familiari, impegnandosi a offrire loro sostegno spirituale e psicologico (ovviamente del sostegno legale ed economico non se ne parla, altrimenti succede come negli Stati Uniti: le parrocchie chiudono bottega per i risarcimenti milionari);
2) avuta notizia di possibili atti pedofili da parte di un sacerdote, il vescovo deve ponderare accuratamente le accuse di cui sia venuto a conoscenza per stabilire se siano verosimili o meno. Durante tale fase spetta al suo "prudente discernimento" scegliere se informare il prete presunto pedofilo delle accuse contestategli e se adottare nei suoi riguardi "eventuali provvedimenti" per evitare che quest'ultimo possa reiterare le sue violenze (non sia mai che le misure per evitare il pericolo di nuovi abusi siano sempre obbligatorie, tempestive e ferme); 
3) se le accuse fossero verosimili, il vescovo deve adottare - "ove lo ritenga necessario affinchè si eviti il rischio che i fatti delittuosi si ripetano" - provvedimenti nei confronti del prete accusato. Il solo trasferimento da una parrocchia all'altra "risulta generalmente inadeguato" (ma va?!?), se non è seguito anche da una "sostanziale modifica del tipo di incarico" (e sospenderlo subito da ogni funzione e incarico fino a quando non sia provata senza ombra di dubbio la sua innocenza?);
4) devono essere adottate tutte le cautele possibili per evitare che i provvedimenti cautelari "pongano in pericolo la buona fama" del prete (certo, l'importante è il buon nome del sacerdote e della Chiesa; la vittima si arrangi da sola a rifarsi una vita! Che cosa pretende, che l'aiutino il Papa, i cardinali e il clero?). Inoltre, non è necessario rendere pubblici i motivi che abbiano spinto il vescovo ad adottare un provvedimento disciplinare (ci mancherebbe altro, altrimenti la gente potrebbe addirittura pensare che anche in Italia circolino pedofili, stupratori e violentatori travestiti da ecclesiastici);
5) al termine del processo canonico cui il sacerdote è sottoposto, se riconosciuto colpevole di pedofilia, può ricevere una delle seguenti punizioni: la restrizione del ministero (almeno escludendo i contatti con i minori) oppure le pene ecclesiastiche, fino alla dimissione dallo stato clericale. Per di più, il prete pedofilo può intraprendere un percorso di rinnovamento, attraverso apposite terapie riabilitative (e mandarlo in galera?);
6) "è opportuno" che tutta la documentazione dei casi riguardanti preti pedofili rimanga nell'archivio segreto della Curia (della serie: non vedo, non sento, non parlo. Il trionfo dell'omertà!);
7) il vescovo deve affidarsi alle sole sue valutazioni, senza poter far riferimento a eventuali atti giudiziari emanati dalla magistratura italiana (altrimenti potrebbe rendersi conto di trovarsi di fronte a un collega che, invece di seguire l'esempio di Gesù Cristo, delinque abitualmente stuprando bambini e bambine);
8) qualora i giudici italiani indaghino o processino un prete per pedofilia, è "importante" la cooperazione del vescovo con le autorità civili (ci mancherebbe altro!). Tuttavia:
- il vescovo non è obbligato a deporre o a fornire documenti su quanto appreso "per ragione del proprio ministero";
- i magistrati italiani possono chiedere informazioni, registri, archivi o atti di un processo canonico, ma senza poterli sequestrare o essere oggetto di un'ordine di esibizione; 
- "rimane ferma l'inviolabilità dell'archivio segreto del vescovo";
- il vescovo non è obbligato a denunciare alla magistratura italiana notizie ricevute su sacerdoti pedofili (omertà, omertà, sempre omertà! D'altra parte, deve essere stato facile imparare, con tutti quei mafiosi che per anni hanno riciclato i loro sporchi miliardi nello Ior, la banca del Vaticano!);
9) il Vaticano e la Cei non hanno alcuna responsabilità per gli abusi sessuali commessi da religiosi su minori (certo, la colpa è sempre e solo della vittima. O forse dello Spirito Santo).

P.s. Qui sotto pubblico una parte dell'ottimo documentario "Sex crimes and the Vatican" ("Crimini sessuali e il Vaticano") realizzato nel 2006 da Colm O'Gorman - giornalista della Bbc, la tv pubblica inglese che ha prodotto l'inchiesta - e trasmesso da "Annozero" il 31 maggio 2007.

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