mercoledì 25 aprile 2012

FERROVIE DELLO STATO E AMIANTO


Due ottimi reportages realizzati da ilciriaco.it (23 dicembre 2011) e da ilfattoquotidiano.it (24 aprile 2012) raccontano in poco meno di mezz'ora la storia dell'Isochimica Spa di Avellino. Nei suoi 6 anni di attività - dal 1982 al 1988 - 330 operai hanno avuto il compito di grattare via un'enorme quantità di amianto dalle carrozze di proprietà delle Ferrovie dello Stato. Tutto però a mani nude, senza protezioni, senza mascherine, senza impianti di areazione, con un semplice stecchetto di ferro. Si è calcolato che i lavoratori dell'Isochimica Spa abbiano liberato dall'asbesto 499 elettromotrici e 1.740 vetture passeggeri, per un totale di oltre 2.000 tonnellate di amianto, poi interrato in buche profonde 4/5 metri all'interno dell'azienda oppure raccolto in buste di plastica e smaltito - forse illegalmente - in discariche esterne oppure convogliato dal silos della fabbrica nei tombini della rete fognaria pubblica. Fino a quando il 13 dicembre 1988 la Procura di Firenze ha ordinato la chiusura dello stabilimento. A causa delle indegne condizioni di lavoro sopportate dai lavoratori campani, a oggi si conterebbero 7 morti, 2 malati terminali, 1 suicida e almeno 105 operai affetti da tumori correlati all'asbesto.
Tuttavia, tale triste e desolante rapporto tra Ferrovie dello Stato e amianto non è purtroppo nuovo. Basti ricordare una sentenza della sezione lavoro della Cassazione (14 gennaio 2005, n. 644), con la quale - confermando interamente i verdetti dei due precedenti gradi di giudizio - i giudici hanno condannato le ex Ferrovie dello Stato (divenute nel frattempo RFI - Rete Ferroviaria Italiana) a risarcire un loro ex dipendente per il danno biologico patito a causa di un carcinoma epidermoidale provocato dall'esposizione ad amianto. Il danno è stato quantificato in 145.904.820 lire. Le Ferrovie dello Stato, infatti, si erano rese responsabili della sopravvenuta patologia tumorale per aver violato l'art. 2087 del codice civile, il quale - allo scopo di tutelare le condizioni di lavoro - impone all'imprenditore di adottare tutte le misure necessarie per garantire l'integrità fisica e la personalità morale di chi lavora. La società ferroviaria, al contrario, non aveva tempestivamente adottato le iniziative opportune in difesa dei lavoratori, nonostante fosse scientificamente nota - almeno dagli anni '60 - la pericolosità cancerogena dell'amianto. Proprio l'uso di amianto è stato il fattore sufficiente ed esclusivo per l'insorgere della patologia tumorale, visto che le lavorazioni cui era stato addetto l'operaio dal 1959 al 1971 lo avevano esposto a un notevole rischio di inalazione delle polveri di asbesto. Si era insomma verificato un contatto continuo e non certo occasionale con vetture e materiali per cui era stato utilizzato l'amianto (in particolare, il rilascio delle fibre proveniva dalle casse dei rotabili e dalle pasticche frenanti). La violazione da parte dell'azienda pubblica di trasporto dell'art. 2087 c.c. è resa palese dal non aver mantenuto fede all'obbligo di adottare una serie di misure (e un modo di organizzare l'impresa) tali da garantire attrezzature e servizi idonei alla salvaguardia della salute dei propri operai. Pur trattandosi di una grande azienda pubblica diffusa sull'intero territorio nazionale e dotata di un apposito organismo - il Servizio Sanitario - che si avvaleva di un organico di medici (pertanto non certo privo di competenze scientifiche adatte a tutelare e garantire la salute dei ferrovieri), le Ferrovie dello Stato sono state inadeguate e/o difettose nel rilevare e segnalare tempestivamente al vertice gestionale il concreto, quanto serio pericolo rappresentato dalle fibre di amianto diffuse nel materiale rotabile, non suggerendo alcun rimedio tra quelli già allo studio della comunità scientifica internazionale. Anche se la pericolosità dell'amianto era conclamata da numerosi allarmi manifestati dalla medicina già tempo prima dell'arco temporale 1959/1971, la responsabilità di Ferrovie dello Stato ex art. 2087 c.c. non si è limitata alla violazione di norme d'esperienza o di regole tecniche già collaudate, ma si è estesa al non essersi presa cura dei propri dipendenti, non avendo adottato - come invece avrebbe per legge dovuto fare - tutte le misure e le cautele necessarie per tutelare l'integrità psico-fisica dei lavoratori. In un contesto storico - lo si ripete per l'ennesima volta - in cui erano diffusamente risapute le conoscenze scientifiche in materia di pericolosità e cancerogenicità dell'amianto.
   

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